PROCESSO CUCCHI: REQUISITORIA DEL PM. CHIESTE CONDANNE SEVERE
Requisitoria del PM Giovanni Musarò al processo per la morte di Stefano Cucchi. La pubblica accusa ha chiesto una condanna a 18 anni di reclusione per i carabinieri autori, fino a prova contraria, dell’ omicidio preterintenzionale, chiesta, altresì una condanna a 3 anni e 6 mesi per il Carabiniere accusato di falso. Otto anni di reclusione è, invece, la richiesta per il maresciallo Mandolini anche lui accusato del reato di falso. Per intervenuta prescrizione non sarà, invece, possibile perseguire i carabinieri responsabili, sempre secondo il PM, del reato di calunnia perpetrato ai danni di tre agenti di polizia penitenziaria. Stefano Cucchi era un geometra romano fermato nel 2009 dai carabinieri dopo essere stato visto consegnare a un uomo delle confezioni trasparenti in cambio di una banconota. Cucchi era stato tratto in arresto e portato in caserma. Veniva decisa la custodia cautelare. Prima del suo arresto non aveva alcun trauma fisico. All’ udienza per la convalida del fermo appariva già fortemente provato, con ematomi agli occhi e con difficoltà a camminare. Moriva pochi giorni dopo l’ arresto, il 22 ottobre 2009 con uno stato anomalo di deperimento fisico e vistosi segni di percosse. Tanti processi, filoni che si sdoppiano, si intersecano. Contro i medici , gli infermieri, gli agenti di polizia penitenziaria. Processi giunti in Cassazione , poi reinviati al merito delle corti di Appello per definire le responsabilità per omicidio colposo. All’udienza del 6 maggio 2019 il procuratore chiedeva una decisione di “non doversi procedere” nei confronti di medici e infermieri per intervenuta prescrizione del reato di omicidio colposo, richiesta che preludeva ad un loro proscioglimento in sede penale, ma non ai fini della responsabilità civile. Perché il dibattimento aveva dimostrato la negligenza nell’ operato degli imputati. Nel 2015 la Procura della Repubblica di Roma, su sollecitazione della famiglia, in testa la sorella Ilaria, riapriva un fascicolo d’indagine sul caso. A supporto della richiesta le dichiarazioni di un carabiniere che avrebbe subito pressioni per non testimoniare ai processi. Il PM cui viene attribuito il fascicolo è Giovanni Musarò. Il Carabiniere , Riccardo Casamassima rende spontanee dichiarazioni. Il caso viene riaperto e il reato viene rubricato come ” omicidio preterintenzionale” a carico di cinque carabinieri. Su questo procedimento si innestano tanti altri filoni ( depistaggio, falso calunnia). Ieri la requisitoria del PM nel processo che è alle sue battute finali. Nell’aula bunker di Rebibbia cala il silenzio. Ci avevamo creduto tutti che era solo un drogato, un reietto, un derelitto, senza famiglia che lo amasse, senza radici o sogni. Che era andato in escandescenza. Che era morto per colpa sua. Tutti tranne una. Una sorella. Qualcuno cui la storia narrata non quadrava, appariva inverosimile. O era il richiamo di un sangue che gridava giustizia dal marmo di un obitorio sul quale giaceva un uomo e, forse, la dignità di divise indossate. L’ aula bunker è silenziosa, nessun brusio a disturbare la disamina cruda dei fatti portata avanti dal pubblico ministero.– Non è un processo all’ Arma- esordisce il titolare dell’ Accusa. Non potrebbe essere. Una mela marcia non può infangare l’ onore di una divisa che ha sempre servito il Paese con generosità e abnegazione. Cadrebbe quella stessa impalcatura che regge lo Stato se fosse così semplice additare quale colpevole un intero Corpo. Se ci si lasciasse andare al funesto pensiero che il caso Cucchi non sia quella eccezione che confermi la regola che i Carabinieri sono ” nei secoli fedeli” a quella Costituzione sulla quale giurano. A quella bandiera cui dedicano la vita, spesso spendendola e finanche sacrificandola. Nella “eccezione” del caso Cucchi si incontrano: depistaggi, falso, calunnia.Cinque carabinieri coinvolti. Le indagini sarebbero state artatamente indirizzate verso tre agenti di polizia penitenziaria cui era stata ascritta in un primo momento la responsabilità della morte di Stefano Cucchi. Poi la svolta con le dichiarazioni del Carabiniere Francesco Tedesco, che dopo nove anni dalla morte del geometra avrebbe rivelato che Stefano Cucchi era stato pestato da due suoi colleghi. Il pestaggio, come sarebbe emerso dalla perizia del consulente della procura, sarebbe stato la causa del decesso. Omicidio preterintenzionale il capo principale di imputazione. Non volevano uccidere ma le percosse avrebbero ingenerato poi l’ effetto del decesso quale causa scatenante. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia (nei confronti degli agenti penitenziari) assieme al maresciallo Roberto Mandolini comandante protempore della stazione dei carabinieri di Appia all’ epoca dei fatti. “La responsabilità è stata scientificamente indirizzata verso tre agenti della polizia penitenziaria ma il depistaggio ha riguardato anche un ministro della Repubblica che è andato in Senato e ha dichiarato il falso davanti a tutto il Paese”. Il 3 novembre del 2009, infatti, l’ allora ministro della giustizia, Angelino Alfano, in Senato secondo il PM avrebbe dichiarato verità che i fatti processuali avrebbero poi smentito. Il silenzio nell’ aula è tangibile, le parole del titolare dell’ azione penale suonano terribili anche a distanza di tanti anni dall’ evento:, “Un pestaggio violentissimo in uno stato di minorata difesa. Sono due le persone che lo aggrediscono. Colpito quando era già a terra con calci in faccia, di questo stiamo parlando. La minorata difesa deriva dal suo stato di magrezza”. Faceva sport Stefano Cucchi. Questo non ce lo dissero. Non era anoressico. Era un atleta, un pugile, categoria pesi piuma. I suoi kg erano 43 perché il suo peso doveva essere contenuto sotto i 44 kg per rientrare nella categoria. Il suo peso a sei giorni dal pestaggio era di 37 kg. Un uomo che in terra aveva subito calci e pugni , che aveva in corso un trauma , che era terrorizzato, che le perizie attestano non si alimentasse a causa del trauma subito. “Venne fatto passare per un sieropositivo e tossicodipendente in fase avanzata , nulla era vero. Stefano Cucchi stava bene prima del pestaggio, ma altro venne fatto credere al Paese, insieme alle accuse agli agenti della polizia penitenziaria”. Gravi le affermazioni del PM. Una requisitoria veemente, a tratti accorata. Chiesta una pena severa perché grave è stato il reato. Adesso la parola alla Difesa. Poi a novembre la sentenza con la parola fine, almeno nel suo primo grado, ad una vicenda terribile per il fatto in sé e per gli strascichi che ha generato. “Questo processo ci riavvicina allo Stato, riavvicina i cittadini e lo Stato” ha dichiarato Ilaria la sorella di Stefano Cucchi che da dieci anni cerca la Verità sulla morte di suo fratello. “Volevo sapere se potevi fare qualcosa per me, per favore rispondimi“.Silenzio nell’aula bunker di Rebibbia. L’ avvocato di parte civile, della famiglia Cucchi, legge l’ ultimo scritto che Stefano avrebbe indirizzato a un operatore del Ceis, la sua comunità terapeutica. ” La grafia, è quella di una persona sofferente” dice la perizia calligrafica. Un grido che pare di udire in quell’aula bunker, flebile negli anni e nei processi alla ricerca della verità. Nitido e chiaro dopo la requisitoria di ieri Sì, forse qualcuno potrà fare qualcosa per lui…forse, finalmente, potrá rispondergli la Giustizia.
