SPAGNA. E’ SCONTRO SULLA QUESTIONE CATALANA. CON CHI STANNO I SOCIALISTI ?

Sono gentilmente pregati di chiedere umilmente scusa a Podemos e al suo leader Iglesias tutti coloro che lo avevano accusato di avere declinato la possibilità di un governo coi socialisti solo perché scarsamente compensati in termini di poltrone. Iglesias invece, aveva corettamente fiutato l’aria che tirava. Il governo socialista di Sanchez aveva infatti nel mirino l’opposizione dei nazionalisti catalani, spostati decisamente a sinistra dopo il dissolversi dell’evanescente leader nazionalista Puigdemont. Erano dunque sul rettilineo di arrivo le sentenze contro gli esponenti della “Sinistra repubblicana” catalana come il vicepresidente della Catalogna in lotta, Junqueros, imprigionato preventivamente da due anni. Socialisti al governo come soggetto super partes? Non proprio, visto che le richieste di condanna erano espressione della volontà di una Procura e di un’Avvoctura di Stato nominate dal governo. E le condanne sono regolarmente piovute. Pesantissime, a partire dai 13 anni per Junqueros, dai 100 anni complessivi che colpiranno i 9 esponenti incarcerati preventivamente, con ulteriori punte superiori a 11 anni per tre di loro. A rincarare la dose e a scioglere eventuali dubbi, il commento alla sentenza, subito emesso da Ssnchez: “Le pene bisogna scontarle tutte”. Se clemenza, un’improbabile clemenza, potrà esservi, ciò avverrà solo dopo anni di ricorsi che possano eventulamente consemtire l’accesso a Tribunali internazionali come la Corte Europea di Strasburgo. Chiaro dunque che Sanchez aveva in preventivo una svolta forcaiola e autoritaria in cui coinvolgere Podemos, invischiati nel governo di coalizione ma con scarsi poteri. E con pesanti vincoli di lealtà che li avrebbero obbligati a una rottura clamorosa e senza possibilità di mediazione con i movimenti nazionalisti e con la loro ala progressista di cui erano storicamente interlocutori. Scontri nella notte e richiesta del leader indipendentista in carcere per un nuovo referendum. Gaudente il monarca, che di partiti repubblicani non ama sentire parlare. Festeggiano anche tutte le forze anti indipendentiste. Dai neofranchisti di Vox, fin qui parzialmente delusi dagli esiti elettorali. Ai Popolari. Fino a Ciudadanos, che vede vicina una alleanza coi socialisti fin qui rigettata a causa della repulsione di una base socialista militante ben più a sinistra dei vertici. Che dire? Dopo qualche giro di valzer il socialista Sanchez mostra il suo vero volto e si tratta di un volto girato con lo sguardo a destra. Sovranista? Manco a dirlo sorge qua e là la parolina magica spruzzata come il prezzemolo a indicare qualcosa di sgradito. Nel caso di Sanchez l’uso del termine appare paradossale. Di certo linea dura, entro i confini spagnoli, a tutela della integrità dello stato spagnolo e profondamente ostile alla disgregazione di forze indipendentiste. Non si sa bene se a loro volta identitarie o invece aperte ai confini sovranazionali. Ma non è questo il punto. Più utile sarebbe riflettere sulla politica economica spagnola di questi ultimi anni. Più che sottomessa, inginocchiata in umile attesa delle direttive della troika e compagnia bella, con variazioni non particolarmente sensibili al cambiare del governo. Altro che sovranismo: cessione di sovranità poco meno che completa a istanze sovranazionali, testimoniata dalla curiosa stabilità dello spread spagnolo nel continuo susseguirsi di crisi di governo e inconcludenti nuove elezioni, che in altri paesi, Italia compresa, avrebbero e hanno determinato rialzi vertiginosi degli interessi del debito pubblico. Risultato. Spagna ricompensata dalla possibilità di sforare sistematicamente il deficit imposto ad altri. Guarda caso l’innalzamento della spesa ha permesso un rilancio significativo del pil e un miglioramento del suo rapporto col debito. Circolo apparentemente virtuoso che ha prodotto un miglioramento della maggioranza dei parametri indicati da Bruxelles. Peccato solo che analogo miglioramento non si sia registrato per quanto riguarda tasso di disoccupazione e bassi salari, dove gli spagnoli esibiscono una situazione peggiore della nostra derelitta Italia. La Spagna, in sintesi, sta meglio. Gli spagnoli, soprattutto le fasce più deboli, decisamente no. Poco conta che i socialisti emettano flebili vagiti di controtendenza, decisamente poco convincenti. Un esempio: la proposta di una patrimoniale burletta per i detentori di ricchezze superiori ai 10 milioni di euro. Capace di toccare ben poche persone, molte delle quali in grado di sottrarre agli occhi del fisco il proprio “portafoglio”. Il quadro complessivo rimane quello: accondiscendenza assoluta sul piano economico internazionale, che consente di fare la faccia feroce sul piano interno, dove l’essere sovrani sulle minoranze non contraddice certo la concessione di sovranità ai poteri economico-finanziari esterni. A prescindere dai giudizi che si possono dare sui limiti dell’esperienza catalana, rimane questo il passaggio centrale che permette di scegliere da che parte stare, in una battaglia prossima ventura, che potrebbe essere ben più cruenta di quanto avvenuto finora. Per il momento, prossima tappa, le elezioni del 10 novembre. Le quarte in quattro anni.