NEL PALLONE
MIO PADRELa passione per il calcio me l’ha inculcata mio padre. Dicono che fosse stato tra i fondatori del Pisa. Ma non me ne parlò mai. E poi era incapace di fondare alcunché. In ogni caso ebbe la soddisfazione di vedere tornare il Pisa in serie A, l’anno in cui morì. E soprattutto di assistere all’unica vittoria dell’Inghilterra in un mondiale. Anche se le modalità di questa vittoria l’avevano lasciato perplesso; ostile com’era a qualsiasi forma di favoritismo.In Italia, non tifava per nessuno. Vagamente per l’Atalanta. Perché portava la stessa maglia del paese. E perché aveva un bel nome. Ma sapeva tifare contro, eccome. Le sue simpatie andavano, quindi, a tutte le squadre che venivano in trasferta a Roma. In modo blando, quando giocavano contro la Lazio. Ma assai più deciso quando si trattava della Roma. Niente di personale naturalmente: entravano in ballo il fascismo, l’impero, il Duce che ci aveva fatto vincere nel 1941/42, il Papa, i preti e così via. Seppi solo più tardi che non era vero: che a Benito buonanima del calcio (perché sport collettivo?) non gliene importava nulla mentre i figli erano tifosissimi della Lazio; che i laziali erano di destra (vedi Parioli) mentre i romanisti erano di sinistra (vedi Testaccio); e seppi anche che la faccenda del favoritismo era vera ma solo in senso logistico: il Car era a Roma… Con mio padre vidi, peraltro, in quel periodo, solo un partita, Lazio- Livorno 0 a 1, ma, affascinato dalla piscina, dove si ripescavano i palloni calciati con troppa forza, non mi accorsi del gol mentre mio padre, maestro di distrazione, mi perse nella folla tornando a casa da solo. Non ce ne furono altre. Almeno a Roma.E perciò, lo confesso, divenni “coram populo” tifoso della Roma (e di Manfredini) solo nella seconda metà degli anni cinquanta. Ero meno remissivo. E mio padre più tollerante. LE PARTITE CHE NON HO VISTOLa prima e più emozionante fu pochi mesi dopo la Liberazione. Avevamo a disposizione un torneo fatto in casa. Tutte squadre romane: Roma e Lazio ma poi Mater, Trastevere, Sanlorenzartiglio (oltre a nomi opportunamente democratizzati: da Ala littoria ad Ala italiana, Italia diventata anche libera); niente di eccitante. Mentre eccitante al massimo grado fu l’annuncio di un incontro tra una rappresentanza di militari inglesi e una di militari italiana. Un’immensa folla a premere ai cancelli, cariche di carabinieri a cavallo, ritorno precipitoso a casa, grande delusione. Temperate dal fatto che gli italiani avevano vinto per 3 a 1 la nuova Disfida (ma già, quelle le avevamo vinte sempre, limitandoci a perdere le sfide e magari anche le guerre).Da allora in poi le tante partite che non vedevi: dove la tua squadra era sconfitta in trasferta a causa dell’arbitraggio o della sfortuna; dove i risultati erano di 6 a 5, di 8 a 3, di 7 a 1 o di 10 a 0; dove potevi però immaginare ed entusiasmarti grazie alla narrazione sopra le righe dei giornalisti. Rimpianti retrospettivi tanti: in particolare per non avere mai potuto vedere il 7 a 1 e il 6 a 3 dell’Ungheria all’Inghilterra. LE PARTITE CHE HO VISTOMio padre è stato ambasciatore in Ungheria dal 1947 al 1950. Una roba da vaccinarti dal comunismo per i secoli a venire (fermo restando che il nazismo è molto peggio…). Ma anche l’occasione per vedere nascere la grande Ungheria. L’unica nazionale (assieme al Brasile del 1950) di cui posso citare senza sforzo la formazione. Andavo con mio padre allo stadio (talvolta c’erano due partite di seguito) e vedevo i suoi grandi campioni alle loro prime armi. Una festa.Poi ci fu, nel maggio del 1953, Italia- Ungheria. Inaugurazione dell’Olimpico. Biglietto comprato a dicembre. Sei ore ad arrostirsi nella tribuna Tevere; e la partita vista in una condizione di vero e proprio sfinimento. Di quella partita ricordo solo il commento dell’Avanti! che era più o meno questo: “due sistemi a confronto. Tre zero. Era giusto”.Delle infinite altre (viste tutte in tribuna Monte Mario; grazie, beninteso, a biglietti omaggio; si può essere, politicamente, contro i privilegi; ma ci sono anche le eccezioni…) voglio ricordarne solo tre. Il famoso Roma-Lecce, con il sindaco Signorello a fare il giro di campo e la beffa finale (fin qui, ma non oltre, quello fu il messaggio per gli anni a venire). E, infine, un Roma-Napoli 5 a 2; partita in cui, dopo un gol particolarmente bello, un signore dietro a me, si mise a piangere: “una cosa così bella – disse – non la vedrò ma più”.Dopo, la fine dei biglietti omaggio, l’indebolimento della vista e il fascino discreto della poltrona e della Tv. IO E IL PALLONEIl campo anzi lo spazio di terra battuta tra due edifici sotto casa mia. Pallone di cuoio nero. Giacche a segnare le porte. A giocare i ragazzi del vicino campo sfollati (siamo nei primi anni cinquanta): Toto, Bozambo, Riccioletto, Barattoletto (io ero chiamato – portavo i pantaloni sotto il ginocchio – alternativamente, Pantalone o Mutandone). In un’azione non particolarmente brillante, arriva mio padre e mi guarda con aria particolarmente critica. “Forse dovrei cambiare le scarpe”, dico. “Fossi in te, cambierei le gambe” mi risponde; e si allontana. IO E LA JUVENTUSSempre nel campetto testé descritto, compariva, da solo, sul tardi un ragazzotto completamente attrezzato: pallone giallo, maglia e pantaloni della Juventus, scarpe da pallone. E si metteva a palleggiare da solo, malamente, rifiutando di unirsi a noi. Sulla sua bocca “Boni”, “Mucci”, “John” e via discorrendo. Da allora, per me la Juve è diventata il nemico di classe IO, MIA MOGLIE E IL PALLONEIo ho trascinato la mia futura moglie allo stadio in tre circostanze. Un Roma-Perugia 0-0, in curva e sotto una pioggia battente. Un Fiorentina-Lecco 2-0 subito dopo l’alluvione del 1966. E, infine, nel dicembre di non so più quale anno, un Milan-Roma 3-0 sotto un vento gelido. Da allora in poi, lei e il calcio si sono definitivamente separati. PALLONE O TURISMOIo e mio padre a Venezia. Palazzo ducale o Venezia-Pisa allo sprofondo? Vinse il Venezia per 2 a 1… PALLONE O POLITICASe nella stessa giornata, primo tempo per la seconda e secondo per la prima. In linea generale dipende dalle circostanze: nessun problema se ti coinvolgono tutte e due; o se l’una ti delude e l’altra o no. Se ti deludono tutte e due, e non hai hobby, non ti restano che i nipoti.
