ANCHE IN LIBANO IL PRIMO MINISTRO VIENE SCELTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Sebbene la proposta di Safadi mi lasci perplesso, e sebbene capisca l’entusiasmo e l’empatia verso i desiderata di una piazza che sta dimostrando grande consapevolezza sociale e politica, ci tengo a ricordare che (anche) in Libano il primo ministro viene scelto dal Presidente della Repubblica, previe consultazioni con le forze politiche presenti in Parlamento (che a loro volta eleggono il Presidente), a seconda delle maggioranze strutturali o contingenti che si configurano. Non viene scelto direttamente dal “popolo”. Parola che peraltro sono ormai lì lì per voler abolire, vista l’essenzializzazione di cui è oggetto/vittima a ormai tutte le latitudini. Col senno del poi, credo sarebbe stato utile formare una delegazione incaricata di negoziare personalmente con le istituzioni, eventualmente suggerendo con fermezza delle alternative, nella consapevolezza che se inascoltate, si sarebbe potuto procedere oltre, prendendo pubblicamente atto del rifiuto ad assecondare richieste precise. Adesso è tutto più complicato, sia perché la volontà delle istituzioni di non ascoltare una piazza senza leader sembra sempre più evidente, sia perché ovviamente i partiti stanno attivando le loro basi di consenso, sia perché i politici eletti alle elezioni parlamentari – ed in particolare i leader dei partiti – potranno legittimamente sostenere di agire nel rispetto della legge, utilizzando strumenti sanciti dalla Costituzione, e rivendicando ovviamente il proprio seggio. Purtroppo non solo la rivoluzione, come si dice, non è un pranzo di gala, ma l’essenza stessa di una qualunque protesta non violenta (specie in un paese con leaders politici che hanno fatto la guerra) che miri a costringere i governanti a cambiare registro (o a cambiare, sostituire se stessi), a ribaltare lo status quo, deve poggiare su basi solide dal punto di vista giuridico, su alternative chiare e immediate, e sopratutto sul possesso certo di strumenti negoziali efficaci, ossia in grado di indurre, costringere, inchiodare chi detiene il potere. E quindi il coltello dalla parte del manico, specie laddove si può reclamare una legittimità democratica derivante dal – corretto od opaco, e sarebbe un vero capitolo a parte – processo elettorale. La strada rischia di essere ancora molto lunga. Meanwhile, tanto per cambiare, una pioggia di tre ore a Beirut mi sta facendo vivere l’emozione, l’ebbrezza di una simulazione gratuita in 3D dell’emergenza a Venezia