25 ANNI SENZA GIAN MARIA VOLONTÉ, L’ATTORE WESTERN DEL GRANDE CINEMA CIVILE

25 ANNI SENZA GIAN MARIA VOLONTÉ, L’ATTORE WESTERN DEL GRANDE CINEMA CIVILE

Nel libro su piazza Fontana,La bomba(Feltrinelli), Enrico Deaglio nota che Gian Maria Volonté inIndaginesu un cittadinoal di sopra di ognisospettoassomiglia fisicamente al commissario Calabresi – il film, va precisato, per non incorrere nel reato di diffamazione, è stato girato prima della morte di Pinelli e senza sfere di cristallo. Mi è sembrata però un’osservazione interessante, quella di Deaglio, perché Gian Maria Volonté, scomparso 25 anni fa a 61 anni su un set di Theo Angelopoulos, assomigliava a molte persone che un tempo erano reali. Maledettamente reali. O, se non erano registrate all’anagrafe, avrebbero potuto esserlo. Per esempio, Volonté assomigliava al metalmeccanico Lulù Massa (come l’operaio-massa), quello che perde una mano e il lume della ragione inLa classe operaia va in paradiso, ma pure allo ieratico e tormentato Aldo Moro (per quanto non citato esplicitamente) diTodo Modo– e abbiamo nominato chissà come mai tre capolavori di Elio Petri. Eppure, poiché lo ricordiamo ancora nei panni di Enrico Mattei in unbiopicante litteramdi Francesco Rosi, che faceva la radiografia ai neri misteri del Belpaese, ciò accade semplicemente perché Gian Maria Volonté appartiene alla grande stagione del cinema civile italiano, come Gassman e Tognazzi sono sinonimi della nostra commedia. Non a caso, alla spicciolata, ci vengono in mente altre storie girate tra gli anni Sessanta e i Settanta: rivediamo il sindacalista diUn uomo da bruciaredei Taviani, ilSacco e Vanzettidi Montaldo (era Vanzetti), iBanditia Milanodi Lizzani (era Cavallero) oSbatti il mostro in prima paginadi Bellocchio (il capo redattore del giornale filo fascista). E tra parentesi: Volonté ritroverà lo statista democristiano neIl caso Morodi Ferrara, nel 1986, film incentrato sui giorni del rapimento a opera delle BR. Forse è per la carica di realtà presente nei film che faceva suoi, che erano suoi: Gian Maria Volonté veniva più venerato che amato. Sembrava non possedere nemmeno le doti diparaculismomediterraneodegli altri beniamini del grande pubblico. Non c’erano strizzate d’occhio o cuscinetti di pappa e ciccia tra lui, l’Attore che sapeva incarnare l’Italia delpost boome della strategia della tensione, e noi povero pubblico, poveri cinefili. Insomma, ci trovavamo un po’ intimiditi e, potendo, non avremmo gradito rimanere bloccati in ascensore con lui. Ricordo quando un mio amico, allora giornalista in erba, andò a intervistarlo in Sardegna, seconda patria di Volonté: alla fine, non ebbi bisogno di chiedergli com’era andata. Le pagine del giornale ritraevano un uomo difficile e quasi ispido, impegnato e torturato, che pesava le parole come le castagne che stava sbocconcellando durante l’intervista. Il mio amico mi disse solo: “Non è che gli ho fatto mangiare troppe castagne?”. Ecco. Forse per trovare un Volonté più vicino, devo citare il secondo filone – lo so che semplifico, e di molto, ma la memoria è selettiva – in cui l’Attore primeggiò e in cui lo applaudirono pure i ragazzini:ilwestern spaghetti, anche in salsa messicana, daPer un pugno di dollaridi Leone aFacciaafacciadi Sollima. Se avete presente il personaggio di Ramòn, capirete perché non cambia il mio giudizio sulla prova ascensore. Muta però tutta la prospettiva nel caso siate stati bambini negli anni Sessanta: quando oggi vi nomineranno Volonté, scomparsototanni fa sul set di Theo Angelopoulos mentre cantavaBella ciaoe rideva con le comparse ecc. ecc., sentirete subito echeggiare nella vostra mente la frase del duello finale nel primo film della trilogia del dollaro: “Ramòn, nel cuore”, intimava Clint Eastwood. Mira al cuore. Gian Maria Volonté, al contrario di Ramòn, sapeva farlo benissimo, e senza bisogno che glielo chiedessero. Volonté verra ricordato con due giornate di proiezioni, dibattiti e incontri il 9 e 10 dicembre alla Casa del Cinema e al Cinema Farnese di Roma.