LUANA TORZA: “L’EROINA DA UN EFFETTO BELLISSIMO, È L’INGRESSO PER L’INFERNO TRAVESTITO DA PARADISO”
Questa signora ha avuto il coraggio di raccontarsi, con la foto sul giornale e il suo passato sul tavolo. lontanissima dalla dimensione eroica in cui si proiettavano certe madri coraggio di muccioliniana memoria. Luana a me ricorda piuttosto Ilaria Cucchi – coraggiosa nella battaglia ma allo stesso tempo pacata e saggia nell’ammettere senza clamori, senza eroismi, certi errori suoi, intimi, da cui ha provato a ricominciare. ****«Non mi vergogno del mio passato. Squarciamo la vergogna e la reticenza che c’è in giro. Se vogliamo che i ragazzi ci sentano vicini e accettino l’aiuto dobbiamo abbandonare il giudizio, anche su noi stessi. Dobbiamo andare da loro e raccontare la nostra storia, anche se questo comporta qualche rischio e tanta fatica».Inizia così Luana Torza, 50 anni, impiegata e mamma. Testimonia la sua discesa agli inferi, la durissima risalita dalla dipendenza da sostanze, l’impegno come volontaria a Rogoredo e da poco alle Groane. Gli operatori dicono che è eccezionale, riesce ad agganciare con semplici precise parole, dritte al punto. «Ero una tossica anche io, capisco tutto», dice. E fa breccia, in particolare con le donne.La sua chiave umana eppure non sprovveduta pare quella giusta: «Ho iniziato a 11 anni con le canne, a 15 anni tenevo il braccio dei più grandi mentre si bucavano. Io fumavo di tutto ma continuavo ad andare a scuola. A 17 è morto mio padre. Ho lasciato qualunque ormeggio, non riuscivo a controllare la sofferenza, mi auto-medicavo, impazzivo di vuoto». Si fatta bucare per la prima volta. Guarda verso un punto lontano, Luana, torna indietro con la memoria: «Li capisco davvero i ragazzi per strada. L’eroina dà un effetto bellissimo, è l’ingresso per l’inferno travestito da paradiso».Sul campo ha maturato una posizione dura: «La tossicodipendenza dovrebbe essere vista come un reato, con l’obbligo a curarsi, almeno per i minori — dice —. È possibile che in Lombardia, con 300 adolescenti in cura ai Serd e Smi a Milano e altre centinaia nelle altre province, ci sia solo una struttura terapeutica certificata per giovani?».La prima volta che è tornata con gli operatori nei «luoghi neri» erano passati quasi 30 anni dal primo buco. Trenta lontana da Rogoredo. Era notte, era l’unica donna, non aveva paura. «È stato uno shock emotivo fortissimo, sono riaffiorate sensazioni di allora, ho ricordato quella voglia di farmi, e poi mi ha invaso un mare di pietas per quelle vite, e per come ero io all’epoca». Gli occhi sono lucidi: «Con l’eroina di una volta la scimmia arrivava prima, da un giorno all’altro avevi il fisico completamente rovinato. Oggi la roba è subdola, cerchi l’equilibrio mescolando varie sostanze, per un po’ riesci persino a tenere nascosto l’abuso. Ci sono giovani, in giro, che non hanno sul fisico i segni che avevamo noi eppure sono già tossici, senza saperlo».Il confine tra l’ultimo libero arbitrio e il primo buco è il crinale da non superare mai. «I ragazzi bisogna agganciarli prima che l’uncino dell’eroina li innamori», è questo il messaggio che vuole arrivi, costi quel che costi: «Confido che in ufficio reagiranno in modo intelligente, se vedranno la mia foto e leggeranno del mio passato. In trent’anni di duro lavoro avrò ben dimostrato chi sono diventata? — chiede a se stessa —. A darmi sicurezza è mia figlia: ha compreso il senso di questa intervista, direi che è quasi orgogliosa di me».
