CASO CUCCHI: “CE L’HANNO ORDINATO”. DUE CARABINIERI SI COSTITUISCONO PARTE CIVILE
Caso Cucchi: “abbiamo eseguito gli ordini”, così i due carabinieri che si costituiscono parte civile Il processo sui depistaggi dopo la morte di Stefano Cucchi, è iniziato a Roma.Due carabinieri, degli otto imputati in totale, hanno chiesto al giudice Giulia Cavallone di costituirsi parte civile nel procedimento nei confronti di altri due colleghi co-imputati per il motivo che loro “hanno solo eseguito degli ordini ricevuti dai loro superiori”. I militari in questione hanno entrambi il grado di tenente colonnello e sono Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano. I graduati hanno rivolto la richiesta al giudice Giulia Cavallone, che ha sostituito Federico Bona Galvagno, che si era astenuto in quanto carabiniere in congedo. I due carabinieri si costituiranno quindi parte civile nel procedimento, nei confronti di altri due loro colleghi, Luciano Soligo e Francesco Cavallo, co-imputati per il reato di falso ideologico. Come hanno spiegato i legali Giorgio Carta e Antonio Buttazzo, i due militari avrebbero solo eseguito un ordine impartito dai superiori. “Loro hanno subito un danno di immagine, da questo punto di vista sono nella stessa condizione degli agenti penitenziari”. Sulla base di quanto riferito dall’avvocato Giorgio Carta , il tenente colonnello Luciano Soligo avrebbe detto a Francesco Di Sano: “Adesso non parti e modifichi l’annotazione di servizio”. Di Sano avrebbe raccontato all’avvocato che “quel giorno in cui eseguì la modifica era di partenza per la Sicilia, ma venne contattato da Soligo perché prima, provvedesse alla modifica richiesta”. Labriola e Di Sano erano all’oscuro del pestaggio e Labriola non ha mai avuto contatto con Cucchi. Continua a spiegare Carta e precisa che “se non avessero eseguito gli ordini sarebbero stati puniti con reato militare che prevede la reclusione, per disobbedienza militare”. L’accusa per Di Sano è di aver modificato l’annotazione di servizio su richiesta del tenente colonnello, Luciano Soligo. Labriola all’epoca era invece comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi passò la notte dopo il fermo. A lui fu chiesto dal tenente colonnello Francesco Cavallo di inviare i due file word delle annotazioni modificate. “Labriola non fu neppure informato quando Cucchi fu portato nella sua stazione”, ha precisato l’avvocato. Con l’accusa di depistaggio sono imputati il generale Alessandro Casarsa, comandante del Gruppo Roma all’epoca dei fatti, e altri 7 carabinieri, tra i quali Lorenzo Sabatino, l’allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma.Gli otto carabinieri sono accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni, di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Oggi, lunedì 16 dicembre, si tiene la prima udienza che dovrebbe far luce su quanto accadde dopo la morte di Stefano Cucchi il ragioniere romano di 31 anni arrestato nell’ottobre del 2009 per spaccio e detenzione di droga e deceduto una settimana più tardi all’ospedale Sandro Pertini. Tra i carabinieri finiti sotto accusa ci sono Francesco Cavallo, Massimiliano Colombo Labriola, Francesco Di Sano e Luciano Soligo, imputati al processo ter. E inoltre Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei Carabinieri e il carabiniere Luca De Cianni, accusato di falso e di calunnia.All’udienza di questa mattina erano presenti quattro degli otto imputati: Colombo Labriola, Sabatino, Testarmata e Di Sano. Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, accompagnata dall’avvocato Fabio Anselmo ha dichiarato che “oggi sul banco degli imputati c’era chi sapeva tutto ed aveva compiuto una scelta, anziché mettersi al nostro fianco, hanno messo in atto terribili depistaggi, scrivendo a tavolino quelle che sarebbero state le conclusioni medico legali sulla morte di mio fratello. Non c’è nessuna battaglia in corso tra la mia famiglia e l’Arma dei Carabinieri” ha inoltre aggiunto: “Questi depistaggi hanno caratterizzato la vicenda processuale di Stefani Cucchi fin dai momenti immediatamente successivi alla sua morte e poi alla riapertura del processo nel 2015 e ancora durante il processo nel 2018. Un caso senza precedenti”.
