INDIA. SANGUE NELLE PIAZZE A COMPLETARE UN ANNO DI TURBOLENZE INTERNE E INTERNAZIONALI

INDIA. SANGUE NELLE PIAZZE A COMPLETARE UN ANNO DI TURBOLENZE INTERNE E INTERNAZIONALI

Anno di turbolenze nel “continente” India, il 2019. Intreccio di questioni nazionali e internazionali: Come un puzzle all’interno del quale anche gli addetti ai lavori rischiano di perdersi. Dicembre è mese di proteste di piazza. Intellettuali e mondo dello spettacolo affiancano i manifestanti. Sono scontri e i morti insanguinano le strade. Diritti umani calpestati dal premier Modi che appartiene alle correnti più integraliste e nazionaliste dell’induismo. Nel mirino i diritti della minoranza musulmana, in coerenza con una islamofobia difficile da sradicare nella componente più nazionalista della popolazione. Difficile raccapezzarsi per un occidentale, abituato a considerare l’Islam sempre e comunque dalla parte del torto. Anche in India, grazie alle disgrazie di Salman Rashdie. Una storia lunga e violenta che ha visto invece l’intolleranza della componente induista più radicale manifestarsi anche con governi dai lineamenti molto più democratici. Ma chi si ricorda di Indira Gandhi, figlio di un leader storico come Nehru? A mala pena torna alla mente che venne ammazzata da una guardia del corpo, di religione sikh. Magari perché anni prima il governo aveva bombardato un tempio sikh ammazzando un centinaio di sikh in preghiera. Un filo rosso che ebbe un seguito negli anni successivi con l’assassinio di un migliaio di sikh perseguitati dai governativi. I sikh volevano semplicemente l’indipendenza della regione del Punjab. Coi musulmani è differente. Minoranza in India, maggioranza nel vicino Pakistan. Come dire una di quelle faglie maledette per le quali il politologo  Samuel Huntington aveva profetizzato facilmente uno scontro di civiltà. Sempre vicini allo scontro Pakistan e India, più pesantemente rivali di quanto lo siano state e lo siano India e Cina. Entrambe dotate di atomica. Entrambe capaci di imbastire alleanze internazionali e di qui allargare un conflitto locale in catastrofe planetaria. Pakistan storicamente amico degli Usa. India più vcina alla Russia. In entrambi i casi alleanze a corrente alternata. In particolare gli Usa: amico Pakistan quando in Afghanistan,  fin sul finire degli anni 90 gli statunitensi erano stati amici dei talebani, che in Pakistan avevano le basi (Obama). Pakistan non più tanto amico quando i talebani decidono di far saltare le Torri Gemelle (Bush jr). Pakistan di nuovo amico, dal momento che gli Usa in Afghanistan hanno deciso di fare buon viso a cattivo gioco scondandosi del passato con gli eredi di Bin Laden. India, anche per questo, in stato di allarme a partire dagli inizi dell’anno. Un paio di aerei indiani abbattuti dai pakistani in febbraio ed è quasi-guerra. Fuoco che cova sotto la cenere. Poi il premier Modi, in agosto, con un colpo di mano che molti giudicano anticostituzionale, sottrae l’autonomia alla regione del Kashmir a sottolineare che dalla parti del Pakistan non gradisce soffrire di limiti ai suoi movimenti. La mossa di Modi non è gradita dai kashmiri, tanto meno dai pakistani. Per contro né Washington né Islamabad gradiscono che gli indiani si approvvigionino di armi presso i russi. I rispettivi indici di gradimento, nell’area, scendono ai minimi storici. Arriviamo così a dicembre. Intreccio di conflitti politico internazionali e di religione. Modi stabilisce che agli immigrati l’India concede la cittadinanza facendo un’eccezione: gli islamici di Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. Musulmani decretati cittadini di serie B a norma di legge. Scatta la risposta di massa dei difensori dei diritti umani. Si arriva all’assurdo. I cellulari e il web vengono tacitati dal potere, a Delhi, per ragioni di ordine pubblico. Ma la partita non si può capire se ci estraniamo dal quadro geopolitico internazionale. E’ qui che si cade dalla padella nella brace. Il 2020 anno di svolta? Ma se si sbaglia strada finire nel precipizio di una catastrofe bellica è questione di un attimo.