PENSIERO STUPENDO
Quel pensiero stupendo (che nasce un poco strisciando).Quello che… Si potrebbe trattare di bisogno d’amore. Quello che… Meglio non dire.Ricordo i miei italici amici alla LSE e quella ossessiva, rispolverata e ipnotica vecchia canzone di Patty Pravo: la meravigliosa (alta) speranza del maschio: due tutte per lui: notte gloriosa.E poi… e poi io dieci anni dopo (dentro quel pensiero stupendo). La mia curiosità. La voglia di sperimentare di nuovo. Di essere sedotta da lei. Sì da lei.Lui che osserva. Lui che lascia strisciare le cose. Un piano inclinato (inevitabile l’esito).Non avrei mai pensato. Sono sincera… prima o poi poteva riaccadere.Chissà i miei compagni di università. Mi chiederebbero: chi il fortunato. Chi l’altra. Mi farebbero ridere. Racconterei di una complicità femminile meravigliosa. Incalcolabile. Rara casualità: polimeri di donne che dialogano.Ora viaggio sul mio solito treno. Inforco la penna (dopo mesi) per raccontare al mondo, e a vanvera, del mio meraviglioso scivolare strisciante di ieri. Ne vorrei parlare scandalosamente sperando che qualche amico dell’università si ricordi del morbido ritornello che usuravano ossessivamente (in modo circolare) dentro quel buco d’appartamento (sopra un indianino dalla faccia persa). Di quel pensiero (per loro) stupendo che nasce un poco strisciando.Poi no.Non voglio farne troppa chiacchiera. Non perché non mi vada di disturbare con dettagli piccanti la banale quiete del benpensante (sfida incomprimibile che mi porto dall’infanzia).Rinuncio a farmi scandalosa solo perché oggi – stamattina – ho trovato una vera mignotta.Ricalcolo me stessa di fronte a sta meretrice e mi sento (io) solo curiosa, aperta alla carne, al gusto, al tatto, al profumo di uomo (ieri di donna) ma in fondo bigotta.Bigotta d’affari. Algida indossatrice di sandalini da sciura. Altera dispensatrice di bilanci e partite doppie. Guardiana dei conti. Mi scorgo fedele donna di scrivania. Fedele frequentatrice di una palestra. Di un treno. Un bar. Un ristorante. Fedele a quell’idea di affari che (talvolta) pospone alla reputazione perfino il Dollaro.Mi scopro duale (retta al dovere; curva alla carne) eppure integra.Scopro la distanza tra le mie due me stesse e la vera mignotta di stamattina.Una in giacca e cravatta che si è facilmente venduta a suon di fiorini, due lusinghe sul potere ed una promessa di notorietà. L’ho comperata su richiesta di terzi, ma l’ho comperata io. Quando le ho stretto la mano (pelosa) ho avuto la sensazione di aver lasciato la paga sul comodino.Lui (il maschio mignotta) l’ha chiamata irrinunciabile offerta professionale (la mia).Io (invece) la chiamo diversamente. Ora è al mio servizio. Farà quello che dirò. Si rotolerà su quel letto che chiamerà azienda/lavoro/carriera come un cagnolino ubbidiente. Rimarrà fermo sotto miei (scomodi) sandali da ultimi residui estivi.Lui la chiama ambizione. Io (invece) la chiamo diversamente.Avrei voluto scandalizzare su come (ieri sera) ci si possa essere divertite rotolandosi in un letto ben popolato. Avrei voluto dettagliare sulle (mie) manovre, quelle (di lei) su di me, le nostre (su di lui). Avrei voluto solleticare qualche amico, qualche anima a caccia di prurigine, qualche amica divertita dalla mia insensatezza.Ma stamattina ho sculacciato una vera meretrice in giacca cravatta, con tanto di moglie e figli, ed una squallida idea del mondo, dell’ambizione.Dedico questo pensiero a tutte le “donzelline” che si fanno la barba la mattina, che ostentano alta moralità pubblica, ma che uno squalo come me (per conto del potere) paga profumatamente per averle ubbidienti, a servizio. Pronte ad abbaiare pubblicamente a comando.Così da dieci unghie di rosso smaltate prementi lestamente lettere su un telefono nella tratta Roma/Milano. Come sempre, sgangheratamente (ma saltuariamente) vostra, Flo.
