CAPODANNI DA DIMENTICARE: MARIA RITA SERRA L’ITALIANA ESPULSA DA ZANZIBAR

CAPODANNI DA DIMENTICARE: MARIA RITA SERRA L’ITALIANA ESPULSA DA ZANZIBAR

Se si tracciasse una hit-parade dei capodanni più malinconici della storia , quello di Maria Rita Serra avrebbe molte chance di essere in cima alla classifica. Nata a Milano nel 1960, Rita, nel 2008, viene licenziata dall’erboristeria in cui lavorava. Non più giovanissima e separata, dopo aver accettato una serie di lavoretti in nero o sottopagati, decide di concedersi, con la liquidazione, un viaggio a Zanzibar.  Parte e si innamora dell’Africa. Non solo per i paesaggi marini che le ricordano la natia Sardegna, ma anche per quel modo rilassato di affrontare la sopravvivenza quotidiana sintetizzato dalla formula “Akuna matata” (“non ci sono problemi”). “Lì bambini mancavano di tutto –dice Rita– ma erano felici!”Dopo una serie di viaggi fra l’Italia e Zanzibar, Rita prende una casa in affitto e inzia a lavorare ospitando amici italiani che venivano in vacanza. “Nel 2009  –racconta– mi innamorai di un ragazzo di circa 30 anni che mi corteggiava, Saidi Mohammed Kombo, e lo sposai, cosa che mi permise di avere gli stessi diritti dei residenti e di acquistare una proprietà. Mio padre, che si era trasferito in Tunisia, aveva venduto la nostra casa in Sardegna e mi mandò il denaro (circa 80.000 euro),una forma  di eredità anticipata. A Zanzibar ero sposata con un musulmano e quindi mi consideravo completamente integrata. Come moglie avevo, un permesso di soggiorno biennale rinnovabile ma, dopo alcuni anni di matrimonio avrei avuto un permesso permanente, così, con Saidi decidemmo di acquistare a Nungwi, la spiaggia più “in” di Zanzibar, una casa non finita e tre piccoli lotti di terreno, per aprire un ristorante-bar che sarebbe stato gestito da mio marito”. Il giorno dell’inaugurazione però Rita capisce che forse non era stato solo l’amore a motivare le nozze. All’apertura del bar non si presenta nessuno : né i tre membri dello “staff”, né il marito-manager, che aveva da tempo smesso di lavorare appena sposato e da quel giorno si fa vivo solo quando ha bisogno di soldi. “Nel 2010 ho chiesto il divorzio –racconta Rita –ho pagato a mio  marito la sua quota in modo che uscisse dalla società e ho messo in vendita la proprietà perché ho capito che da sola, donna e per di più divorziata, non avrei mai potuto gestire un’attività . Una donna sola in paese musulmano, o si accoppia con qualcuno o viene considerata una puttana .Chiedo : “ Anche  se sei straniera ?”,“Io avevo divorziato da un locale –risponde– mi consideravano una di  loro. Appena divorziata, ricevevo offerte continue di “massaggi”, oppure di aiuto per gestire la proprietà in cambio del matrimonio. Io ho una location meravigliosa, ma il mio bar è nell’entroterra non sulla spiaggia. Gli avventori non sarebbero stati turisti inglesi o italiani, ma soprattutto i locali ed era impossibile che potessi gestirlo io. La notte è degli uomini. Specie la sera tardi quando si ubriacano. Dovevo per forza affidare il locale a qualcuno, ma questo voleva dire perdere la maggior parte dell’incasso” . Nel 2012 Rita chiude il bar e, dato che parla fluentemente lo swahili, campa portando in giro in auto i turisti italiani incontrati in spiaggia.Nello stesso anno incontra un ragazzo di 35 anni, Mushid, che le sembra una persona per bene e gli propone di  far ripartire la proprietà. Mushid le suggerisce di chiudere il bar e trasformare l’edificio in un B & B. Così Rita torna in Italia, vende  gioielli e argenteria, e al ritorno allestisce un lodge di 5 stanze. “ A novembre faccio il pieno –racconta– ho 5 stanze tutte occupate da turisti inglesi, del Kenya, del Sudafrica, dell’Australia , della California, ma dopo 10 giorni devo  chiudere. Avevo scoperto che Mushid aveva  falsificato i documenti intestando tutto a se stesso e al mio ex-marito”. Una sera in cui Rita aspettava un gruppo di inglesi , Mushid, il presunto “manager”, si presenta a notte alta dopo aver passato la serata con tre donne. Quando arriva, Rita si fa consegnare le chiavi e lo caccia ma, racconta, Mushid reagisce pestandola davanti a tutti“ Mi ha rotto tre costole.L’ho denunciato per i documenti falsi e per le botte. Il console onorario Paolo Chiaro-racconta– mi mandò un legale africano che però mi chiese, per seguire la causa, 5000 euro che non avevo”. Poco dopo Rita racconta di aver affittato la guest-house a un certo Simon che gestiva già un resort a Kendua e stava per perdere il lavoro : “Con lui arrivarono il fratello, il cugino, il nonno , tutta la famiglia– racconta– per quattro mesi non pagarono una lira di affitto e arpivano solo  per ospitare puttane e ubriachi. La mia guest house era diventata un bordello !” Con l’aiuto del sindaco, Rita ottiene che la polizia sfratti gli inquilini morosi, ma quando arrivano i poliziotti Simon e i suoi cominciano a sfondare i cancelli con le auto, a tirar pietre e a minacciare di uccidere i cani. Nell’agosto del 2015 , quando Rita, grazie al prestito di un’amica, riapre la guest-house , Simon e il branco si ripresentano. Portano fuori quello che possono e spaccano il resto. Rita riesce a chiamare la polizia che arriva e, raccolte le suppellettili , le  fa portare alla questura di Nongwi dove restano all’aperto per tre mesi. Sinchè a poco a poco scompaiono…. Rimasta con un solo dipendente, Rita continua a gestire pochi turisti sino al 2016, quando chiude definitivamente dopo aver subito, dice, mille furti e mille angherie. “ All’inizio la strada dove vivevo era abbastanza tranquilla –racconta –con una sola discoteca e pochi negozietti gestiti da persone abbastanza educate. Non lontano dal mare, avrebbe dovuto diventare una strada di negozi per la passeggiata dei turisti, invece, con il passare del tempo, si è trasformata nel covo dei peggiori delinquenti. A pochi metri dalla mia proprietà sono sorte bettole e gazebo illegali che vendevano frutta bevande e puttane, dominati dai cosidetti “bodaboda”, i teppisti locali, dotati di moto, che campano offrendo passaggi ai turisti. La musica a tutto volume notte e giorno era sovrastata solo dalle urla dei tossici e delle prostitute. I muri di casa mia erano diventati un orinatoio pubblico e se protestavo  ricevevo insulti, lanci di sassi o minacce col macete. Mi hanno pure ucciso un cane lanciandogli della carne avvelenata” Nel corso degli anni Rita chiede più volte l’intervento della polizia che a volte risponde – chiedendo , dice, “un contributo per la benzina” – ma lascia la situazione immutata. Nel giugno 2018, quando sta per scaderle il permesso di residenza Rita ottiene , dopo 6 mesi di attesa, un colloquio con il vice presidente di Zanzibar Seif Ali Iddi , che scortato da alcuni ministri e da uno stormo di poliziotti irrompe nel quartiere e chiede ai residenti che la ‘muzungu’ (la straniera bianca) venga rispettata. Ripartito il corteo, dopo pochi giorni la situazione torna come prima. A quel punto Rita commette, senza saperlo, un errore che forse le è stato fatale. Durante un’assemblea di piccoli proprietari di B & B esasperati come lei dalla malavita di strada Rita, in perfetto swahili, arringa i presenti, e, chiedendo perché nessuno li difenda, accusa a viso aperto un graduato della polizia. Il video, reperibile ancora su youtube a questo indirizzo ……. diventa virale, anche perché la tv locale che lo registra sottolinea non tanto il degrado dell’area, quanto il fatto che una “muzungu” una bianca, abbia accusato a viso aperto un ufficiale. Nei giorni successivi la tv la intervista e Rita che rinnova la denuncia mostrando tutti i danni che ha subito. Poco tempo dopo, l’autunno scorso, mentre mostra la casa a un possibile acquirente, Rita viene raggiunta dagli uomini dell’immigrazione portata in questura, rinchiusa in cella per tre giorni e rispedita in Italia come “persona non grata” con un biglietto di sola andata a carico dell’ambasciata italiana in Tanzania. Un secondo tentativo di rientrare in Tanzania viene respinto addirittura in aeroporto. Qui finisce il racconto di Rita, che oggi non dorme sotto un ponte solo grazie alla Caritas di Milano. Con l’espulsione, infatti, è stata espropriata non solo della casa ma anche dell’unico mezzo di sostentamento. Ho scritto per avere riscontri sulla sua vicenda sia a Paolo Chiaro che all’ambasciatore italiano in Tanzania Roberto Mengoni. Come unica risposta ho ricevuto una mail di un gentilissimo funzionario dell’ufficio stampa della Farnesina in cui si dichiara :“ “L’Ambasciata d’Italia in Tanzania, in raccordo con la Farnesina, ha seguito con la massima attenzione la vicenda della Signora Rita Serra e ha prestato ogni possibile assistenza. L’Ambasciata è a disposizione per agevolare il contatto della Signora con professionisti legali che possano effettuare una vendita della proprietà per procura”. Il problema è che Rita dichiara non avere neppure gli occhi per piangere e quindi ancor meno i soldi per pagare un legale che, sul posto, metta in vendita la sua casa. Qui si pongono alcune domande : 1) l’Ambasciata poteva fare di più, oltre a quello che ha fatto, per tutelare Rita ? Chi conosce l’Africa sa che in certi contesti ,se non interviene – per i motivi più diversi – l’autorità locale, nessuno può far nulla. 2) Criticando apertamente la polizia Rita si è chiusa ogni via d’uscita ? Forse sì e forse, costringerla a lasciare il paese espellendola, è stato, da parte delle autorità locali una dichiarazione di impotenza ma anche un modo per salvarle la pelle in una situazione in cui non avrebbe più avuto nessuna tutela 3) il governo italiano potrebbe esercitare la sua ‘moral suasion’ sulle autorità di Zanzibar per permettere a Rita di vendere la sua casa ? Forse un tentativo potrebbe essere fatto. Anche perché, se a Zanzibar  contiamo così poco da non riuscire a ottenere neppure che una connazionale venga esprorpiata, siamo davvero sicuri che la nostra “moral suasion” fermerà la guerra in Libia ? Rita parla perfettamente swahili e forse, con la domanda che c’è di mediatori culturali potrebbe lavorare in Italia per qualche ong. Sarebbe sicuramente una soluzione meno rischiosa che tornarein Africa