MISSIONE 2020. LA RISCOPERTA DELLA CULTURA PER UN MONDO MIGLIORE
Come ogni anno ci ritroviamo a tirare le somme di quanto ci lasciamo alle spalle e a esprimere desideri per l’anno che verrà, supportati da buoni propositi e una bella dose di ottimismo. E in questo tirare le somme, si effettua spesso un percorso mentale a ritroso, che parte dall’evento più attuale fino ad arrivare all’inizio dell’anno. Impossibile, dunque, non arrestare subito questo processo ripensando al caso più recente, ovvero le dimissioni di un ministro messo di fronte all’impossibilità di finanziare scuola, università e ricerca secondo quanto promesso. E se vogliamo che l’anno che verrà sotto questo punto di vista sia migliore di quello appena trascorso, passata la buriana conseguita all’accaduto, occorre soffermarsi per comprendere meglio le dinamiche sottese a un meccanismo che sembra ormai incancrenito. Qualche anno fa, per giustificare i primi tagli effettuati su università e ricerca, qualcuno disse Perché dovremmo pagare uno scienziato, quando produciamo le scarpe più belle del mondo? Era il 2010, e l’allora presidente del consiglio Cavalier Silvio pronunciò il suo verdetto su un settore che da allora non si è mai più rialzato. Parole che avranno certamente suscitato indignazione in buona parte degli italiani, espressa attraverso una smorfia stampata in modo diverso su ogni volto: storcendo la bocca, aggrottando le sopracciglia, girando la testa dall’altra parte, pronunciando una qualche imprecazione – di quelle che solitamente vengono solo sussurrate. Ma, sotto sotto, se aggiungiamo quel carico di pensiero logico che rovina quasi sempre questi genuini moti cosiddetti “di pancia”, in una società dove la filosofia neo-liberista regna sovrana e il PIL è effettivamente l’unica unità di misura del benessere delle nazioni, saranno pochi ad ammettere che non riescono tuttora a dargli tutti i torti, e ancora meno quelli che sono riusciti a trovare delle valide argomentazioni con cui contrastarlo. Quindi quel sano diniego che verrebbe anche a un bambino se conoscesse la materia di cui si sta trattando, rimarrebbe lì, vestito da rifiuto spontaneo, immediato, fulmineo, ma senza una valida argomentazione a sostenerlo, deriso per la rudimentalità delle sue sembianze dai sofisticati pionieri del pensiero capitalista. E allora, facendo finta che la suddetta frase non sia una provocazione, bensì una domanda fatta innocentemente, nel tracciare i buoni propositi per l’anno che verrà, dobbiamo, per un momento, metterci sul suo livello e provare a trovarle una risposta. Perché pagare uno scienziato quando produciamo le scarpe più belle del mondo? Secondo John Maynard Keynes “La cosa importante per un governo non è quello di fare cose che gli individui stanno facendo già, per farle un po’ meglio o un po’ peggio; ma di fare quelle cose che al momento non si fanno affatto”. Il che costituisce un ottimo punto di partenza. A giungere in nostro aiuto, interviene poi il ricercatore e astrofisico Francesco Sylos Labini, che con un illuminante discorso tenutosi al secondo convegno della ROARS nel 2014, ancora attuale e di grande utilità, ci ricorda come scoperte che hanno letteralmente cambiato l’assetto delle società e delle economie a livello mondiale, come il World Wide Web o il GPS, derivano proprio dalla cosiddetta ricerca di base, vale a dire quella ricerca finanziata dai governi e non finalizzata a uno specifico obiettivo economico o commerciale. Ricerche, quindi, il cui rischio era stato assunto dallo stato, ma che nel lungo periodo hanno comportato benefici a livello di produzione interna e quindi mercato del lavoro e tutto quanto ne è conseguito. Il perché dare soldi a uno scienziato quando produciamo le scarpe più belle del mondo, ce lo spiega anche il ben noto caso “Apple”: occorre ricordare che Steve Jobs era partito da un piccolo ufficio sito all’interno di un garage, e solo nel giro di qualche decennio si è ritrovato fra le mani uno dei più grandi imperi economici del mondo. Spirito imprenditoriale? Idea giusta al momento giusto? Può darsi, ma se vogliamo trovare altri meriti ben più significativi di una specifica inclinazione personale o, peggio ancora, del fato, dobbiamo risalire alla genesi di ogni elemento che compone, ad esempio, un iPad, per scoprire che, in realtà, ogni singola componente di quei diabolici apparecchi si porta dietro uno stuolo di ricercatori che per anni si sono dedicati a ciò che ne ha permesso la nascita. Anni fatti di studio, di esperimenti, di tentativi spesso andati a vuoto. Il tutto finanziato dal governo di un paese forse un po’ meno abile a produrre scarpe, ma certamente più lungimirante nelle politiche di distribuzione delle risorse. Un governo che si è assunto un rischio che ha comportato innovazione e nascita di nuovi mercati. Un rischio d’impresa socializzato che ha comportato un vantaggio privatizzato. Lo chiamano “paradosso di Jefferson-Hamilton”, e l’impresa non ha che da guadagnarci, con buona pace delle economie di tutto il mondo. Certo, secondo questi ragionamenti si rimane sempre sul piano di un vantaggio economico e di mercato in grado di giustificare la necessità di fondi per un settore a cui non fanno che tagliarne, ma a una provocazione derivata da un pensiero che sposa le filosofie neo-liberiste occorre fornire una risposta che parli la stessa lingua. Tuttavia, una volta assodato perché pagare uno scienziato, si potrebbe ancora obiettare che il vero problema è proprio la mancanza di risorse con cui pagarlo, ma come abbiamo visto, sono proprio questi tagli ad averne paradossalmente provocato la contrazione, scatenando un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire. Forse, ancora una volta, più che calcoli ed esempi di successo occorre un cambio di pensiero. Occorre emanciparsi da quell’ottica miope e ottusa che pensa al vantaggio immediato a discapito di investimenti che comportano benefici nel medio e lungo periodo. Ma occorre, altresì, emanciparsi da quella mentalità secondo la quale il benessere è misurabile solo in termini economici, restituendo a quella naturale curiosità umana il ruolo di creare un mondo migliore. Un mondo dove i curiosi sono pagati per essere curiosi; dove gli storici sono pagati per non farci dimenticare e i letterati per farci riscoprire le radici della nostra lingua. Un mondo dove la cultura torni a essere il perno della ricerca di benessere individuale e collettivo. Ecco, questo è certamente il primo desiderio per l’anno che verrà.
