RAID USA IN IRAQ: I MILITARI ITALIANI DEVONO ANDARE VIA, VIOLATO LO SCENARIO DELLA NOSTRA PRESENZA
Il raid statunitense a Bagdad che ha ucciso il generale iraniano Soleimani e la reazione inevitabile che deciderà il regime di Teheran rende insostenibile l’appoggio italiano a una guerra che sta per divampare nell’area liberata dall’Isis. Millecentododici militari italiani, 305 mezzi terrestri e 12 mezzi aerei sono attualmente in Iraq sotto il comando degli Usa, a supporto della Nato per formare i quadri dell’esercito iracheno, dopo la sconfitta dello stato islamico. Il 4 luglio 2019 il Parlamento italiano ha votato l’autorizzazione e la proroga per le missioni internazionali in cui siamo coinvolti. Per l’area irachena il fine del nostro coinvolgimento è di contrastare “la minaccia terroristica del Daesh”. La situazione per cui ha votato il Parlamento italiano è molto cambiata da allora, lo scenario internazionale vede in primo piano uno scontro di altra natura tra gli Stati Uniti da una parte e l’Iran dall’altra per assicurarsi il controllo sulle risorse petrolifere dell’area. Soltanto il 10 novembre scorso vicino Kifri, luogo di confine tra Kurdistan iracheno e territorio sotto il controllo del governo di Baghdad, in un attentato sono rimasti gravemente feriti cinque militari italiani, a dimostrazione di una nuova instabilità politica della regione, che il premier Abdul Mahdi non è più in grado di governare senza il sostegno militare Usa. In precedenza, il primo ottobre, migliaia di persone avevano manifestato in piazza Al-Tahrir nella capitale irachena contro la decisione del premier di rimuovere Abdul Wahab al Saadi, il comandante dell’antiterrorismo locale, molto popolare tra i cittadini per il ruolo nella battaglia contro l’Isis, giudicata una decisione scaturita dalle pressioni sulla politica irachena dell’ala filo-iraniana, molto consistente e irritata dalla presenza Usa. Il governo iracheno non è più in grado di garantire la gestione del Paese scaturita dagli accordi internazionali del dopo Daesh da almeno un anno, scosso com’è da numerosi problemi, dalla fame alla corruzione, con proteste spontanee della popolazione sempre meno classificabili come manifestazioni pro o contro gli Usa o pro e contro l’Iran. L’estate scorsa erano state attaccate ad Al-Qaim, vicino al confine con la Siria, con raid aerei attribuiti dagli iracheni a Israele, alcune basi militari sotto il controllo delle Pmf, una forza di mobilitazione paramilitare vicina all’Iran. A rendere ancora più fragile l’assetto politico nell’area è stato poi il bombardamento dello scorso 14 settembre degli impianti petroliferi sauditi di Abqaib e Khurais, un attacco con i droni rivendicato dal portavoce militare dei ribelli Houthi, una milizia sciita dello Yemen appoggiata dall’Iran. Sull’episodio grava il sospetto che reparti di miliziani collegati all’Iran abbiano usato il suolo iracheno come base per portare a termine gli attacchi, anche se il premier Abdul Mahdi ha negato con fermezza di aver favorito il bombardamento in Arabia Saudita. Il 6 ottobre scorso invece si era scatenato a Bassora, dove si produce il 70% del petrolio iracheno, un attacco al consolato iraniano con irruzione della popolazione negli uffici poi dati alle fiamme. La mobilitazione di Bassora aveva provocato dichiarazioni senza possibilità di fraintendimenti della guida spirituale iraniana Ali Khamenei, che aveva proclamato il legame imprescindibile tra Iran e Iraq. E’ quindi evidente che dopo la sconfitta dell’Isis nella regione, i rapporti tra Usa, Iran e Arabia Saudita, con Israele in costante fibrillazione per ogni movimento nell’area, sono tornati al punto di partenza che la fragile tregua dovuta all’impellenza di mettere nell’angolo Daesh aveva accantonato. Ed è altrettanto evidente che sono venute meno le ragioni per cui il Parlamento italiano ha votato la presenza militare italiana in Iraq, che non va verso la stabilizzazione di un governo che doveva difendersi dalle recrudescenze dello stato islamico, ma verso la disintegrazione dell’area ormai al centro di un conflitto tra Stati Uniti e Iran. Il nostro scopo era di aiutare il nuovo esercito iracheno formando quadri militari e di polizia. Con l’attacco deciso senza consultare gli alleati della Nato ieri sera da Donald Trump contro l’Iran sul suolo iracheno sono venute meno le condizioni stabilite dallarisoluzione del 4 luglio 2019 votata dal Parlamento italiano.
