UNA NOTTE DI TANTI ANNI FA, PRIMA DI GAIA, CAMILLA E PIETRO
E finalmente posso parlarne. Ora, dopo diversi giorni, in un anno dal numero diverso, da quello in cui il fatto è accaduto, posso parlarne.Mi riferisco all’incidente di Gaia e Camilla e Pietro. Si tre nomi, perché tre vite sono state distrutte anche se in modo diverso. Nei giorni intorno a Natale i fatti di cronaca non sono mancati. Incresciosi anche, incredibili a volte. Quell’incidente, il bambino “scosso”, le decine di morti in Somalia e molti altri. Ma non mi capacitavo perché il mio pensiero era concentrato in maniera quasi esclusiva e ossessionante sull’incidente di Corso Francia. Non me ne rendevo conto, poi il lampo improvviso, un ricordo prepotente che avevo rimosso. …Viaggiavo con la mia vecchia astra station wagon, non un suv, ma anch’essa bella pesante e grande. Era un dopo cena, non ricordo perché fossi uscito e dove andassi, probabilmente a prendere qualche coperta nella casa vecchia. Da poco abitavamo nella casa nuova, il trasloco non era finito ed il freddo era arrivato. “La veniva come le funi”, pioveva a dirotto e c’era anche foschia. Non si vedeva un tubo, i fari che si riflettevano nell’asfalto bagnato erano spilli dentro gli occhi. Stavo arrivando ad un semaforo, a qualche decina di metri scattò il verde. Detti un po’ di gas, ma andavo piano, certamente però, più dei 50 chilometri orari consentiti, ma piano. Avete mai provato a rispettare esattamente i limiti di velocità? Avrete certamente sentito i clacson ululare alle vostre spalle e gli abbaglianti nello specchietto retrovisore, avrete certamente notato le code dietro di voi specialmente nelle strade extraurbane e i sorpassi azzardati che in qualche modo avevate favorito.Avrò fatto 60, l’incrocio era ben illuminato, il semaforo verde, ma non vedevo nulla lo stesso.Ad un tratto un automobilista che procedeva in senso contrario mise gli abbaglianti e notai due silhouettes scure a pochi metri da me. Inchiodai. Ringraziai Iddio che avevo rifatto i freni da pochi giorni. Una delle due sagome picchiò leggermente sul cofano con un fianco, sentivo lo stridio dei freni di una macchina che mi seguiva, aspettavo il colpo, ma si fermò fortunatamente a qualche centimetro, solo sfiorandomi. Erano due ragazzi poco più che adolescenti, forse un ragazzo e una ragazza. Erano incappucciati, ma ora i giovani portano il cappuccio anche d’agosto e non ho mai capito il perché. Erano incappucciati, avevano saltato il guard rail con il il rosso per i pedoni, le striscie erano lontane da loro una decina di metri, zigzagando fra le macchine. La sagoma che aveva battuto sul cofano zoppicava vistosamente. Saltarono anche il guard rail dall’altro lato della strada, si girarono verso di me e verso gli altri automobilisti ormai fermi e ci mostrarono entrambi il dito medio prima di sparire nel buio. Dopo un centinaio di metri, accostai. Le gambe mi tremavano ancora. Faticavo a riprendermi.Che botta di culo avevo avuto! Mi avevano salvato quegli abbaglianti improvvisi. Ero andato ad un passo dall’uccidere due ragazzi, dal gettare nella disperazione due famiglie, dal distruggere la mia stessa vita e quella dei miei cari.Pensai a quello che avrebbero scritto i giornali. Forse che andavo ad “alta” velocità, che ero ubriaco. Si, a cena, io bevo sempre i miei due bicchieri di vino, e non so a quanto arriva il mio tasso alcolemico, certamente oltre il consentito. Ma non mi metterei mai alla guida se non fossi sicuro dei miei riflessi. Avrebbero scritto che probabilmente facevo uso di cannabinoidi, vedendo sul mio profilo Facebook la pianta che coltivavo davanti a casa, prima ancora che la Cassazione desse l’ok per la coltivazione casalinga.Non avrebbero certamente verificato che la piantina era cannabis sativa e non indica, la cosiddetta light, non avrebbero controllato che l’avevo acquistata in una serra vicino a casa regolarmente autorizzata, non mi avrebbero richiesto il certificato di origine e lo scontrino che ancora conservo.Forse sarei stato dipinto come possessore abusivo di armi, avrebbero detto della mia condanna per questo a tre mesi di carcere con la condizionale, senza accennare al fatto che derivava da un incauto spostamento durante il trasloco. Delle armi, anche semplici fucili da caccia, si deve dichiarare ogni spostamento. Una infrazione amministrativa che per me si era trasformata in penale non potendo pagare gli 800 euro della multa, dopo aver fatto fronte alle spese dell’avvocato. Tre mesi con la condizionale potevo sopportarli, 800 euro non potevo pagarli. Ma forse questo lo avrebbero tralasciato.Non avrebbero sorvolato invece sul fatto che un tempo ero stato cacciatore, in un momento, oggi, in cui il cacciatore è turpe e sadico, ed io avevo anche l’aggravante di aver scritto racconti di caccia per “Diana”.Non avrebbero fatto sconti sul fatto che avevo fatto il servizio militare in un battaglione punitivo. Non avrebbero accennato che era per episodi del 68.Ricordo mia mamma in lacrime.– Dov’è Macomer? –– In Sardegna mamma –– Ma non dovevi rimanere in Toscana? –Da tempo era iniziata la regionalizzazione per la leva militare.– Ma non dovevi essere allievo ufficiale? –– Non ti preoccupare mamma, tornerò presto.-Non le dissi altro, non le dissi di come era allora considerato “Forte Apache” , non le dissi che avrebbero cercato di “raddrizzarmi” ed io pensavo di andare dritto e a testa alta. Lo avrei fatto anche da soldato semplice in un battaglione di fanteria punitiva.Ah, per la cronaca: fui congedato con il grado di sergente. E chissà di quanti piccoli episodi, ingigantendoli, avrebbero parlato. Ma era andata bene, avevo evitato, con l’aiuto del fato, tutto questo. Riavviai il motore. Cercai di pensare ad altro. Cominciai a rimuovere quell’episodio. L’avevo completamente dimenticato. Poi la notizia di Gaia, Camilla e Pietro.
