GIUSEPPE FAVA, QUANDO IL CORAGGIO DI LOTTARE RENDE IMMORTALI
Sono passati 34 anni da quel giorno maledetto. Correva il 5 gennaio del 1984, quando cinque proiettili letali, sparati a bruciapelo, raggiungevano al volto il giornalista e scrittore Giuseppe Fava, uccidendolo senza pietà. A pochi metri l’avrebbe atteso la nipotina che stava uscendo da scuola.Un delitto di mafia, descrizione insufficiente e incompleta di quello che è stato un atto che non può essere solo ricordato come uno dei tanti, ma ripreso e declinato nella sua logica attuale. Non solo è stato attaccato e ucciso un uomo, ma quello che Questi rappresentava: la libertà, una voce libera che da tempo aveva OSATO denunciare un sistema che univa le varie coniugazioni del potere occulto affidandole alle mani sporche di sangue di chi sa soltanto usare la forza e l’intimidazione.L’immagine rimane comunque forte e brutalmente impressa nella memoria collettiva. La dinamica emerge in tutta la sua vigliaccheria, come da costume mafioso; un uomo che va a prendere la nipotina a scuola viene freddato mentre esce dall’auto. Doveva essere un gesto plateale, ben visibile, che incutesse paura a tutti coloro che osavano “parlare” di intrecci tra mafia, politica e affari. Ma quella che poi sarà dipinta come LA MONTAGNA DI MERDA (mafia,ndr), non ha mai capito che si può anche uccidere una persona ma non il suo coraggio e le sue idee. Queste rimarranno vive per sempre, così com’è avvenuto per Giuseppe Fava. Mandanti ed esecutori sono stati giudicati. Appartenevano al clan dei Santapaola. E’ sufficiente ricordare il nome più conosciuto senza sprecare molte altre parole. Ricordare questo triste evento non può limitarsi ad una cronaca descrittiva quanto rinnovare il significato di ciò che è successo e del perché è avvenuto. La mafia uccide quando ha paura; quando viene messo in pericolo il suo modus operandi. Giuseppe Pippo Fava raccontava la realtà che molti conoscevano ma non volevano vedere. Il muro dell’omertà circondava sempre ogni dinamica, favorito da tutti coloro che preferivano voltarsi piuttosto che reagire in difesa dei diritti universali che appartengono ad ognuno di noi.Oggi verrà ricordato nella sua Catania, e dove il punto di arrivo sarà proprio Via Giuseppe Fava.Ma forse Pippo Fava avrebbe preferito che fossero di nuovo rilanciati certi suoi indelebili pensieri, come quello che definiva il CONCETTO ETICO DEL GIORNALISMO: “Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. Pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.”Ecco, per Noi, oggi, ricordare Giuseppe Fava significa non smettere mai di lottare. Forse il miglior modo di dimostrare che le sue idee non sono state mai uccise è proprio quello di rilanciare la sua celebre domanda: “A che serve ESSERE VIVI se non si ha il CORAGGIO DI LOTTARE?”
