UNO SPLENDIDO CINQUANTENNE

Qualche giorno fa ho rivisto – dopo qualche tempo che non lo incrociavo – un mio coetaneo. Confesso che ho provato un po’ d’invidia, perché, anche se siamo della stessa classe, è decisamente più giovane di me e non dimostra affatto la sua età. E non è uno di quei cinquantenni patetici che fanno finta di essere giovani, si mettono i cappelletti dateenagers, si tingono i capelli, si accompagnano con ragazze che hanno l’età delle nostre figlie. No, lui non nasconde affatto i suoi anni, si vedono tutti: è semplicemente un cinquantenne giovane. E sarà anche un centenario giovane. Perché lui – a differenza di quasi tutti noi – arriverà a questo traguardo; e lo supererà. Perché è un classico. Perché èGli Aristogatti. È un classico ed è perfetto. Bisogna ammettere che una parte della forza di questo film sta nelle “sue” voci e nella genialità di chi ha tradotto i dialoghi e ha adattato i testi delle canzoni. Mario Maldesi e Roberto De Leonardis – che hanno fatto tutto questo – meritano di essere considerati a tutti gli effetti tra gli “autori” degliAristogatti. Nella versione italiana – come è noto a tutti – il protagonista si chiamaRomeo,er mejo der Colosseo, doppiato dal bravissimo Renzo Montagnani, un attore che conosciamo quando va bene per le “zingarate”, ma soprattutto per i film non proprio memorabili che ha interpretato con Edwige Fenech, che invece per noi nati negli anni Settanta è assolutamente memorabile. Montagnani, al tempo degliAristogatti, è un attore politicamente molto impegnato: in quello stesso anno è, insieme a Gian Maria Volonté, l’interprete diTre ipotesi sulla morte di Pinelli, diretto da Elio Petri. Volonté e Montagnani hanno lavorato insieme anche due anni prima, nel film di Gianni Puccini sui fratelli Cervi: il primo interpreta Aldo e il secondo Ferdinando. Naturalmente nell’originale il gatto di strada non si chiama Romeo e non è di Roma, ma è irlandese e si chiamaThomas O’Malley. E ha la voce calda dell’attore e musicista jazz Phil Harris, che ha già doppiato l’orso Baloo nelLibro della giunglae sarà la voce di Little John inRobin Hood. Phil è un volto e soprattutto una voce molto nota nell’America degli anni Cinquanta e Sessanta. La sua è una voce dacat, che non significa sologatto– come avete imparato nella vostra prima lezione di inglese, quando questo dispettoso felino ha cominciato a salire e scendere daltable, immagino giocherellando con lapencil. Nel gergo del jazzcatè un appassionato di questa musica, nuova e trasgressiva, uno che guarda alla vita con un atteggiamento decisamente rilassato, che non prende sul serio gli altri – anche perché non prende sul serio neppure se stesso – che è sarcastico, che è povero per scelta – perché non ama molto lavorare e appena ha un po’ di soldi li spende – e soprattutto che non si lascia scappare nessuna bella ragazza. Esatto, proprio come Thomas O’Malley – o Romeo, come preferite – la voce di Phil è proprio la voce di quel gattone libero e disinibito. Così come la voce di Eva Gabor – la più brava a recitare delle tre sorelle – con il suo inconfondibile accetto ungherese, fa subito capire che Duchessa è una gatta dell’alta società. A Melina Martello non serve fare nessun accento: appena quella gatta miagola capisci subito che è una vera signora, assolutamente non unacat. Anche se quei tre micetti, Toulouse, Marie e Berlioz – che in italiano diventano Matisse, Minou e Bizet – un padre da qualche parte devono averlo. È pur sempre un film Disney, anzi è l’ultimo film che il reazionario Walt ha approvato prima di morire, ma Duchessa ha un passato, probabilmente molto piùcatdi quello che adesso, che è diventata una brava gattina dell’alta società, voglia ammettere. E perfino madame Adelaide Bonfamille ècate anche l’avvocato Hautecourt. Non possono nascondercelo: quei due hanno avuto una storia. Merita citare i due attori che hanno dato le loro voci a questi due “non-gatti” della storia. Hermione Baddeley – tra gli altri ruoli la cameriera Helen inMary Poppins– è stata l’attrice che ha ricevuto una nomination all’Oscar grazie all’interpretazione più breve: solo due minuti inLa strada dei quartieri alti, per cui ha avuto l’Oscar come protagonista Simone Signoret. Charles Lane è stato uno dei grandi artigiani di Hollywood: in settantadue anni di carriera ha partecipato a più di duecentocinquanta film. Soprattutto dagli anni Sessanta fa spesso il medico: se qualcuno in un film o in una serie televisiva si ammala è probabile che in ambulatorio trovi proprio Charles Lane. Ed è anchecat, benché sia a tutti gli effetti unmouse, il piccolo Groviera – nell’originale Roquefort – il personaggio che risolve il “rapigatto”. La sua voce è quella di un grande comico del cinema americano, Sterling Holloway, che per i film Disney sarà anche Kaa e il Gatto del Cheshire, un altro personaggio assolutamente jazz. Ma torniamo alla nostra soffitta di Parigi: quando i musicisti della band di Scat Cat – e poi tutti nel finale – cantanoEv’rybody wants to be a cat, non dicono che vogliono diventare gatti – peraltro lo sono già – ma che vogliono diventare come Thomas, e come Duchessa. L’adattamento della versione italiana è perfetto, non avrebbe avuto senso tradurre letteralmentetutti quanti vogliono diventare gatti, perché invece ètutti quanti vogliono fare jazz. Anzi vogliono essere jazz. E la scena della jazz band felina è davvero indimenticabile. Peccato che la malattia abbia impedito a Louis Armstrong di interpretare quello che avrebbe dovuto chiamarsi Satchmo Cat, il leader di quella sorta di internazionale jazz felina – un trombettista americano, un pianista e batterista cinese, un chitarrista inglese, un fisarmonicista italiano e un contrabbassista russo – che nella Parigi dellabelle époqueinterpreta quella canzone, sembrando ignorare cosa sarebbe successo quattro anni dopo. E’ Benjamin Scatman Crothers a interpretare Scat Cat. Crothers è stato un importante chitarrista jazz e un attore che ha fatto molti film, anche se ormai rischiamo di ricordarlo solo come il cuoco della “luccicanza” diShining. A proposito delle musiche del film è doveroso ricordare che la canzone che accompagna i titoli di testa, intitolata appuntoThe Aristocats, scritta da Robert e Richard Sherman – gli autori, tra le altre, delle canzoni diMary Poppins– è interpretata da Maurice Chevalier. Il cantante e attore parigino nel ’70 ha già ottantadue anni, si è ritirato dalle scene da due, ma i fratelli Sherman e la Disney vogliono che sia lui a cantare quella canzone. E non può essere che lui. Perché per l’immaginario dell’America di almeno tre decenni, Parigi è Maurice Chevalier, perché è lui che ha inventato quell’accento francese che non perderà mai, anche dopo la sua lunga e fortunata carriera hollywoodiana. E Lumiére negli anni Novanta è ancora un omaggio a questo artista. E anche per l’Italia Chevalier è Parigi e infatti quella canzone non viene tradotta, è l’unica del film a rimanere nella versione originale. Chevalier ha inciso due versioni, unain francesee una nel “suo” inglese. Nei cinema italiani, quando nel ’71 esce il film, viene utilizzata quella in francese, anche se ormai, nelle versioni che passano in televisione, con il doppiaggio che è sempre quello storico del ’70, la versione della canzone è quella in inglese. Il 1970 non è un grande anno per il cinema americano. Forse è più ricco quello italiano: Vittorio De Sica vince l’Orso d’oro a Berlino conIl giardino dei Finzi Contini, Elio Petri – ancora con Volonté – conIndagine su un cittadino al di sopra di ogni sospettovince l’Oscar come miglior film straniero e il Gran premio speciale della giuria a Cannes. Quell’anno la Palma d’oro va Robert Altman perM*A*S*H, che pur entrando in nomination non vince – comprensibilmente – l’Oscar come miglior film. Il film di Altman è – come noi – un cinquantenne invecchiato. Anche se la guerra in Corea non è mai finita, anche se quel lontano paese è ancora nelle cronache dei giornali, come una sorta di relitto della Guerra fredda, quel film racconta un mondo che non c’è più. Però “Occhio di falco” Pierce, “Duke” Forest e “Trapper John” McIntyre continuano a essere decisamentecat.