ELIMINAZIONE SOLEIMANI, TANTO RUMORE PER NULLA?
Si è conclusa, almeno per il momento, la fase della ritorsione iraniana contro l’eliminazione mirata di Qasem Soleimani, uno dei personaggi più influenti dell’establishment iraniano ed esecutore in pratica dell’espansionismo sciita al di fuori dei confini della Repubblica islamica. Nonostante le previsioni apocalittiche i risultati pratici si sono rivelati infinitamente minori di tutte le aspettative. A questo punto è possibile trarre qualche piccola conclusione e arrischiare una previsione a breve termine. Non c’è dubbio che la risposta iraniana è stata soppesata col bilancino e pianificata in maniera tale che i risultati non fossero troppo pesanti, evitando così una pericolosa escalation. I risultati si sono dimostrati deludenti, mettendo a fuoco grosse limitazioni nel potenziale bellico iraniano. I missili lanciati contro le due basi americane possono portare ognuno fino a mezza tonnellata di esplosivo, se anche solo la metà fosse arrivata sul bersaglio i danni avrebbero dovuto essere catastrofici. Se questo è il prezzo che i nemici del regime degli Ayatollah devono pagare ogni volta che un leader della grandezza di Soleimani viene eliminato, ciò significa che il deterrente iraniano è molto limitato. Paradossalmente gli unici morti sono i civili che hanno partecipato ai funerali del generale iraniano. Che piaccia o no l’Iran è un fattore altamente destabilizzante in tutta l’area del vicino oriente. Il brusco cambiamento di direzione voluto da Trump dopo aver fatto capire che era interessato a lasciare in maniera definitiva l’Arabia saudita e gli Emirati arabi al loro destino può essere spiegata con una serie di trattative segrete in corso già da qualche tempo fra i paesi sunniti e l’Iran per arrivare ad un accordo che di fatto avrebbe lasciato alla potenza sciita il pieno controllo della regione. Ciò che lascia veramente perplessi gli iraniani è la completa incapacità di prevedere le mosse del presidente USA, è molto probabile che Trump stesso non sempre abbia le idee chiare sulle ripercussioni delle sue decisioni, ma è proprio la sua imprevidibilità che trasforma la sua politica in un deterrente militare, almeno per il momento. Nel 2006 il leader libanese di Hezbollah, Hassan Nasrallah, compì anche lui un errore di calcolo trascinando il paese dei cedri in una guerra che durò più di un mese e che causò morte e distruzione assolutamente inaspettate. Fino a quando gli iraniani non si sentiranno abbastanza sicuri di aver decifrato il “codice Trump” il conflitto dovrebbe mantenersi su un livello di bassa intensità, basato per il momento più su scaramucce verbali che non su un conflitto che da regionale potrebbe trasformarsi velocemente in planetario. Israele per il momento resta a guardare, giocatore per il momento passivo ma sicuramente fondamentale di un conflitto che non è mai cessato. Lo stato ebraico si prepara a nuove elezioni politiche, le terze in poco più di un anno, e i sondaggi sono propensi a confermare la situazione di stallo fra i due grandi schieramenti politici, aumentando così una situazione d’incertezza che sarebbe critica in una situazione normale e che alla luce della realtà odierna non fa che acuire la sensazione d’instabilità. Ma la cosa più preoccupante di questi ultimi avvenimenti è la completa assenza di reazione del mondo occidentale, europei in primis, di fronte al disastro aereo causata dall’esplosione in volo di un aereo ucraino appena decollato da Teheran. C’è più di un indizio che colleghino l’incidente ad un possibile abbatimento dell’aereo da parte del sistema missilistico iraniano. E in questa continua e assurda politica dello struzzo da parte del mondo occidentale l’Europa si sta dimostrando una volta di più l’anello debole della catena.
