QUESTA NUOVA TORRE DI BABELE

QUESTA NUOVA TORRE DI BABELE

Pensavo che Imbattedomi di nuovo in questa “Torre di Babele” di Bruegel mi é venuto da chiedermi perché il narratore biblico decise di inserire nell’epopea dei patriarchi questo racconto in cui condensó la riprovazione della cultura ebraica (di allora, non certo di oggi) nei confronti della civiltà babilonese imprimendole un significato teologico che condanna nella “confusione delle lingue” l’orgoglio umano che tenta di arrivare fino al cielo. Mi é parso di dover riconoscere in questa maledizione di Babilonia l’invidia di una cultura arcaica come quella agro-pastorale ebraica nei confronti della più evoluta (e terribile per i pastori contadini del paese cananeo} cultura mosopotamica già in grado di gestire un sapere tecnologico scientifico (già in grado di edificare-come gli egizi- le zigurrath piramidali). Le conseguenze del sapere tecnologico sono in effetti due: a) l’incompletezza costituzionale di questa cultura che non raggiunge mai la fine dell’impresa (la torre rimane incompiuta e non raggiunge il cielo) e la moltiplicazione delle lingue (cioé dei saperi specialistici delle diverse discipline). L’ideologia religiosa della società arcaica depreca l’orgoglio (che le appare blasfemo) dell’ambizione del sapere umano che procede con faticosa autonomia provando a convincere i suoi fedeli che la “confusione delle lingue” é l’autocondanna di una cultura che esce dal dogma (un sistema di verità chiuso e completo). Ora a me sembra che anche oggi, quando in una impaurita critica dei nuovi saperi complessi e della disorientante pluralità di canali/codici di cumunicazione dell’era digitale) ci troviamo di fronte a qualcosa di analogo. Chi condanna e maledice come alienanti la crescita esponenziale del numero dei cellulari, la moltiplicazione dei social, la superspecializzazione delle discipline scientifiche potenziate dal digitale, ecc. mi sembra rievocare le stesse paure del narratore biblico che dopo aver condannato Eva per la smania di sapere punisce anche la smania di costruire degli artigiani babilonesi che hanno l’ambizione di non dare limiti all’impresa umana. Il paradosso di fronte a cui la storia del “progresso” ci pone é quello di obbligarci constatare come siano (stati) numerosissimi i pensatori/scienziati ebrei protagonisti di questa poderosa avanzata delle scienze e tecnologie (non solo) moderne, comprese quelle del mondo digitale. Dunque sarà necessario archiviare come reazionario e anti-illuministico il mito della torre di Babele? No. Uno dei suoi messaggi più vivi e attuali riguarda proprio la moltiplicazione dei saperi e dei linguaggi. A differenza di quanto proponevano gli umanisti del Quattrocento e del Rinascimento nessuna mente umana é oggi in grado di conoscere e sapere tutto. Eppure un’intesa su cosa progettare e costruire insieme si rivela più necessaria che mai, per superare la competizione fraternicida dell’umanità (come é nel caso della lotta al riscaldamento globale) che produce conflitti esiziali in direzione di una collaborazione pacifica. Ma non sono né scienza né tecnica che possono da sole raggiungere un’intesa, questo é il compito irrinunciabile e decisivo della politica, nella convinzione che l’edificio del sapere é un work in progresso che non avrà mai fine. Perció no ai detrattori del nuovo mondo digitale, sì alla politica come arte suprema della mediazione pacificatrice della costruzione della società planetaria.