ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROTESTE IN LIBANO

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROTESTE IN LIBANO

***Proteste in Libano, giorno 90, aggiornamenti e una considerazione – Stasera e in parte ancora adesso ci sono stati degli scontri tra polizia e manifestanti ad Hamra, area centro occidentale di Beirut, di fronte alla Bank of Beirut (distrutta) e nei suoi dintorni. L’area in generale è abbastanza devastata, continuano gli assembramenti e le forze di sicurezza sono schierate. Faccio notare che un po’ come all’inizio di queste manifestazioni tre mesi fa, gran parte di chi stava ingaggiando degli scontri e creando un po’ di fauda, rivendicando la propria organicità alla “thawra” e l’insofferenza verso tutta la classe politica, veniva dal sud della città (a maggioranza sciita, feudo urbano di hezbollah), e in altre situazioni – con connotazioni più limpidamente negative – verrebbe definito supporter di amal ed hezbollah. E per certi versi a ragione: come detto nelle scorse settimane, la verità è che i piani si sovrappongono e dovremmo tenerci lontani dai riduzionismi e dai fazionalismi: non sarebbe da escludere che tra la gente che è venuta stasera ci possano essere anche le stesse persone – o contigue, magari i cugini i fratelli i nipoti gli zii – che sono andate ad attaccare i manifestanti al centro un mese fa, accusandoli di essere fomentati dall’esterno e di insultare Nasrallah. Ma stasera chi sostiene la protesta – anche violenta, contro le proprietà – si guarda bene dal definire quelli di stasera “supporter di”. Anche se magari su una faccia della loro identità lo sono, come gli altri ragazzi che mi era capitato di intervistare a inizio proteste – nel giorno del centro di Beirut messo a ferro e fuoco da tutti in una sorprendente, reale quanto inedita “sommossa” interculturale, intergenerazionale, interconfessionale, intersezionale, interclassista, con lo sciita del sud venuto in ciabatte e in motorino che sposta transenne insieme al ragazzo cristiano di Achrafieh. Erano gli stessi che due giorni prima avevano attaccato gli uffici dei politici di Amal ed Hezbollah al sud, e sarebbero stati gli stessi – stavolta in senso metaforico, diciamo contigui – che avrebbero attaccato due mesi dopo quei manifestanti “rei” di aver bloccato una arteria dalla città ma sopratutto rei di essersi fatti ormai “identificare” in precedenza come “agenti del complotto” contro la “resistenza” (hezbollah), nella percezione del proletariato e sottoproletariato urbano sciita, in seguito ai cori contro Nasrallah. Senza i cori (e in un secondo momento senza parole di Nasrallah) forse non ci sarebbero stati assalti ai manifestanti ma allo stesso tempo, se i manifestanti non fossero stati identificati come agenti del complotto, gli si sarebbe senz’altro permesso di bloccare la strada. Una protesta acefala è anche questo: diversi canali di uscita – le varie ed eterogenee istanze, alcune in contraddizione – ma anche diversi canali di entrata – cioè le matrici, la composizione. A volte il canale è di uscita e di entrata allo stesso tempo: c’è chi urla thawra e distrugge banche come stasera, e magari il giorno dopo si chiama fuori – diventando improvvisamente “esterno” alla protesta – perché che so’, si beve alcol o perché si insultano leaders politico religiosi che lui non include nella sua collera; O magari c’è chi la sera partecipa alla protesta pacifica anche con convinzione, ma poi il giorno dopo e nel quotidiano torna a re immergersi in una logica clanico-settaria, se viene da certi quartieri cristiani. Non solo gli occidentali ma anche tanti colleghi libanesi hanno fatto troppo presto a tracciare una riga e dividere il campo in due, cedendo alla tentazione di indulgere in logiche binarie, individuando nettamente quanto grossolanamente dei “pro” e degli “anti”. Alimentando peraltro un nuovo tipo di monolite umano, quando invece le (nostre) identità sono sempre plurali, multiple, oltre che mutevoli, transitorie. E non solo la composizione di queste protesta non è omogenea ma ancora non è finito il processo di identificazione della materia di cui è composta. Siamo probabilmente ancora agli inizi, alle prime dieci righe di un capitolo chissà – coi tempi libanesi -, magari di dieci, quindici pagine.