‘TOLO TOLO’ DI ZALONE E’ UN SORRISO AI MIGRANTI E UNA PERNACCHIA AI SOVRANISTI

‘TOLO TOLO’ DI ZALONE E’ UN SORRISO AI MIGRANTI E UNA PERNACCHIA AI SOVRANISTI

«Per fortuna che Checco c’è». Si potrebbe dire parafrasando una vecchia canzoneberlusconianasu Silvio. Se il campione assoluto di incassi al cinema (30 milionidi euro solo nei primicinquegiorni diprogrammazione) decide di uscire dall’apparentecerchiobottismodel passato (apparente: alla fine del precedente film, “Quo vado”, va a fare ilvolontarioinAfrica) e si schiera apertamente contro chi dice «prima gli italiani», chissà che questo non aiuti la gente ariflettere. VinceràSalvinioZalone? Nel dubbio, forza Checco. La diatriba su “Immigrato”, il videoclip in stileCelentanoche ha promosso e anticipato il film, da molti letto come prosovranisti, ha tratto in inganno solo chi non sa cogliere l’evidenteautoironia. Ma in un Paese che non sa più ridere di se stesso, evidentemente il messaggio è arrivato in modoambiguo. Tanto che, ad esempio, il post fascistaLa Russasi è lamentato apertamente, sostenendo che il video: «È stata una veratruffaper portare un certo tipo di pubblico nelle sale cinematografiche».  L’ex ministro della difesa, a proposito del film, aggiunge che descrive: «Una questione importante comel’immigrazionecome se fosse raccontata dallaBoldrini». Mentre suIl GiornaleCinzia Romaniha scritto stizzita che il film: «Sembra girato daPapa Bergoglio». Un esponente di destra intellettualmente raffinato comeMarcello Venezianiha cercato invece diminimizzaresul fatto che il film si schieri politicamente: «È una comicitàdouble face, ognuno ride alle spalle dell’altro. Ma Checconon parteggiané per gli uni né per gli altri, si tiene saggiamente al di fuori e al di qua». Poteva essere vero per alcuni film precedenti di Zalone, ma non per questo. InTolo Tolosi prende posizione molto nettamente, forse anche grazie al fatto che Zalone (stavolta ancheregista, col suo vero nome:Luca Medici) firma lasceneggiaturainsieme aPaolo Virzì, che oltre a essere un maestro della commedia all’italiana è anche da sempre dichiaratamente disinistra. Ma se Zalone-Medici non fosse in sintonia con Virzì, non lo avrebbe scelto come partner. Tolo Tolo non è certo un film buonista. I buoni, qui, quasi non esistono: dilagano invece, quelli un po’ stronzi, come nella tradizione – che è cinica e “cattiva” – della migliorecommedia all’italiana. Checco è il prototipo dell’italiano concentrato solo su se stesso, che considera i suoi problemi (èossessionatodalletasse, dai vestiti firmati e dalla ricerca dellacrema antirugheall’acido ialuronico) gli unici degni di nota. Ben più della povertà e della guerra che vede di persona quando emigra in Africa per sfuggire ai creditori e, naturalmente, alle tasse. Ma è un po’ stronzo anche ilgiornalistafrancese diventato famoso in quantodifensoredei poveri e diseredati, che sul più bello tradisce Checco. Come lotradisceun africano che credeva amico, suo compagno nel lungo e difficile viaggio per tornare in Italia (viaggio del quale vengono raccontate tutte le tappe chiave: lafugadalla guerra, ildeserto, icampi libicidi raccolta profughi, latraversatasui barconi verso l’Italia). Perfino i soldati italiani della forza dipacenon fanno una gran bella figura, tanto che quando Zalone corre verso di loro chiedendo aiuto gli tirano unabombetta, perché non si sa mai. E nemmeno lafamiglia, l’ultimo rifugio degli italiani, fa una gran bella figura. La “sinistra” viene presa di mira, naturalmente, ma tutto sommato conmoderazione. A partire dal giornalista di cui sopra, che tra l’altro sfrutta la sua fama di indefessoterzomondistaper arricchirsi facendo da testimonial alla famigerata crema all’acido ialuronico. Ma si ironizza anche sulle manie dicontaminazioneinterrazziale (esilarante la “pizzicacontaminata”, la tipica musica pugliese trasformata in versione “immigrato friendly”), o sul linguaggio astruso: spassosissimo il vero Nichi Vendola che fa il verso a se stesso parlando insinistreseincomprensibile. Che però non sia un film cerchiobottista, che se la prende un po’ con iprogressistie un po’ con i sovranisti, risulta evidente da molte situazioni e personaggi. C’è persino un compaesano pugliese di Checco senza arte né parte che fa una fulminea carriera politica, diventandoministro degli Esterie poi presidente dellaCommissione Europea, che si chiama Luigi (comeDi Maio) e parla come Salvini. Ma la prova è soprattutto in due momenti chiave. Il primo è quando Zalone, nei momenti di difficoltà e di intolleranza, tira fuori l’animomussoliniano: gonfia petto e mascella e usa voce stentorea per prendersela con i migranti.«È un attacco di fascismo» gli spiega il medico – naturalmente di colore – che lo soccorre.«Ce l’abbiamo tutti dentro, è unainfezionelatente». Qui il film cita addirittura Primo Levi diSe questo è un uomo: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ognistranieroènemico. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente». È un processo pericoloso, perché quando diventa un sistema di pensiero, «al temine della catena» avverte Levi «sta il Lager». Ma torniamo al film e alle suebattute. «Come la candida?» replica Checco.«Paragone bizzarro ma efficace» risponde ilmedico.«E come si cura, col Gentalyn?»«Si cura con l’amore». E se non è abbastanza, è ancora più netta la conclusione del film. L’ultima strofa della canzone finale – cantata da Checco davanti a un nugolo di bambini africani ai quali, con un cartoon in perfetto stileDumbodiDisney, ma naturalmente in versione politicamente scorretta, ha spiegato che se sono così sfigati da essere nati in Africa è colpa di unacicogna strabica– è: «Me ne vado ma poi torno. Con cento chili di permessi di soggiorno».