LIBIA, CONFERENZA DI BERLINO. UN DISORDINE GLOBALE CHE INVESTE MEDITERRANEO E BALCANI

Si è conclusa, con l’Italia in seconda fila, la Conferenza di Berlino sulla Libia, senza che nessuno se ne accorgesse. Non solamente perché il nostro premier, arrivato con qualche secondo di ritardo alla cerimonia della foto di gruppo finale non ha trovato nessuno disposto a cedergli il posto ed è dovuto arretrare dietro la fila delle star (Merkel, Putin, al-Sisi, Erdogan e Macron). Ma soprattutto perché, in una Conferenza che ha combinato piuttosto poco, nemmeno in quel poco pare che l’Italia ci abbia messo lo zampino. Certo non si può considerare un successo un incontro che si conclude con una tregua così evanescente da non essere sottoscritta da una delle parti in causa (Haftar). Ancora più evanescente se si pensa che, oltre alla tregua, il punto forte del documento finale è quello che prevede l’embargo sul rifornimento di armi. Ma non prevede però come tale embargo debba essere fatto rispettare. Oppure, per meglio dire, l’alto Rappresentante agli Esteri della Ue, Borrell, ha fatto riferimento alla resurrezione della Missione di pattugliamento di nome Sofia. Ma per quella missione Ue occorrono militari pronti pure a sparare. E questi chi glieli mette? E sotto quale bandiera si dovrebbero muovere? Sul punto Erdogan ha avuto il pregio della chiarezza. Bene accetta solo l’Onu, guarda caso l’Organizzazione che riconosce la legittimità del suo protetto Serraj. Altrimenti nessun controllo e una tregua legata ad un filo sempre più esile. Visto che da ambo le parti è previsto l’arrivo dei nostri. Rinforzi nuovi di zecca (jihadisti siriani per Serraj e combattenti sudanesi per Haftar) pronti alla pugna, se non per l’onore per il portafoglio. Protagonisti davvero in prima fila, nella sostanza, foto di gruppo a parte, Erdogan dalla parte di Serraj, Putin, un poco più defilato, dalla parte di Haftar, e la Merkel, dalla parte di una Ue che dopo un lungo silenzio prova ad elevare una flebile voce. Il tutto in un clima nel quale soffia il vento di ricatti più o meno dichiarati. Aperto quello di Haftar, che nel nome di “Muoia Sansone e tutti i filistei” è già pronto a chiudere i rubinetti da cui sgorga il petrolio anche per i libici. Più sfumato quello di entrambi, ma soprattutto di Serraj ed Erdogan, che minacciano flussi imponenti di migranti via mare (Mediterraneo) e via terra (Balcani) se non verranno rispettati i loro diktat. Sullo sfondo un intreccio di ulteriori questioni internazionali nelle quali, gli stessi protagonisti della vicenda libica, si trovano di volta in volta alleati o l’un contro l’altro armati. Senza che nessuna istituzione sia in grado di governare la situazione, sia pure nel nome del proprio sporco interesse. Ogni riferimento alla Nato è puramente volontario. Così Russia e Turchia, alleati di comodo in Siria, di ferro sulla vicenda del viadotto TurkStream e apparentemente principali rivali nella querelle tra Tripoli e Bengasi. Oppure invece Turchia contro Egitto, Israele e magari pure l’Italia nell’intervento sulle nuove estrazioni di greggio nel Mediterraneo occidentale, che tanto interessano alla Grecia e ai grecociprioti. Per finire con il possibile riaccendersi delle polveri nei Balcani e nei paesi della ex Jugoslavia. Ancora una volta Erdogan protagonista, beniamino dei musulmani bosniaci, degli albanesi, ma anche con qualche apertura da decifrare alla Serbia di Vucic (vatti a fidare). Ancora una volta, da quelle parti che sono poi anche le nostre, Ue assente e Russia sorniona, filo serba ma fino a un certo punto. Nato che deve riposizionarsi da quando di Erdogan non si fida più. Per cui si rafforza in Montenegro, preferisce il Kosovo all’Albania e soprattutto guarda a Washington per sapere che cosa piacerebbe a Trump: disimpegno o ruolo incendiario? Occidente comunque in difficoltà nella Macedonia del nord con le dimissioni del leader amico Zaev e le nuove elezioni che non si sa come finiranno. Da queste parti incontriamo, oltre al solito Erdogan, che spariglia le carte o che comunque amerebbe sparigliarle, anche il creativo Emmanuel Macron. Il suo no ad Albania e Macedonia del nord che bussavano alla porta di anticamera della Ue è apparso a molti un favore a Putin, assieme alla sua dichiarazione più generale sulle condizioni catalettiche della Nato. Che voglia aspirare ad una leadership Ue nel dopo Merkel? Possibile. Certo la Francia in Libia non ha raccolto quanto pensava di avere seminato con la sua strategia destabilizzante e guerrafondaia. Che ci voglia riprovare altrove? Libia e non solo, grande è la confusione sotto il cielo. Ma la situazione non pare proprio eccellente. Tanto meno per l’Italia. Per il momento tutti uniti, ma all’occorrenza tutti contro tutti. E le popolazioni locali usate nel segno degli interessi altrui.