FELLINI LO CONOBBI A FREGENE

“Fellini lo conobbi a Fregene. In mezzo a una pineta bellissima c’era una vecchia villa adibita ad albergo. I tavoli con le tovaglie bianche. Ad un tavolo, isolati, c’erano Ennio Flaiano e Federico Fellini. Mi impressionò subito: aveva uno sguardo magnetico, una luce formidabile negli occhi. Non era solo la luce dell’intelligenza, del genio, era qualcosa di più. Era uno sguardo che mi turbava. Ennio Flaiano lo presentò: ‘Federico Fellini, primo imperatore di Cinecittà’. Io non riuscivo nemmeno a parlare”. Quando Sandra Milo ricorda il suo primo incontro con Fellini, quell’incontro che le ha cambiato la vita, usa queste parole. Nell’occasione in cui la incontriamo, in Puglia, alle grotte di Castellana, sta per ricevere un premio alla carriera al festival “Salento finibus terrae”. Ma è una storia che si porta dentro, da sempre. L’ha raccontata anche in forma di narrazione, nel romanzo “Caro Federico”, edito da Rizzoli. Un romanzo che ha uno sguardo dritto, volte anche duro, verso se stessa e verso quell’amore fortissimo. “Perché con Federico fu un grande amore, durato diciassette anni”, dice. “Un amore che non iniziò quella volta, ma dopo. Quando io avevo deciso di lasciare il cinema, dopo una delusione bruciante, un’interpretazione che i critici attaccarono violentemente. Amavo il cinema, ma il cinema mi aveva tradita. E poi arrivò quella telefonata. Era Fellini che voleva farmi un provino per il suo nuovo film, ‘8 ½’…”. “Io dissi di no, non volevo più saperne di cinema, di illusioni, di sogni, di speranze. Ma lui venne a casa mia a fare il provino. Si accesero le luci, partì la cinepresa e io mi sentii come una viandante che ritorna a casa. Fellini mi fece prendere in braccio un gatto di peluche bianco e nero che avevo a casa. E con questo peluche sotto braccio parlammo a lungo. Pensai: ok, ho fatto questo provino, ho fatto un favore a tutti, adesso basta. Invece mi chiamò la produzione per fare il contratto. ‘Guardi, io ho smesso col cinema, non neppure un agente’, dissi. E scappai a Ischia, all’hotel Regina Isabella, a Lacco Ameno. Lì, il mio compagno di allora venne e mi portò due orecchini bellissimi. Mi disse: ‘Fellini ti ha presa per il film’. Così, tornai al cinema per amore. E feci ‘8 1/2,’, uno dei film più belli della storia del cinema”. “Vuole sapere com’era Fellini? Aveva un’immensa capacità intuitiva. Capiva le persone al volo. Capiva tutto al volo. E sapeva tirare fuori le qualità nascoste di ognuno”. “Vuole sapere se fu un amore? Abbiamo vissuto una relazione lunga diciassette anni. Io lo amavo moltissimo, e probabilmente mi amava anche lui. Un amore inesorabile, uno di quelli che puoi leggere nei libri. Quando è così, l’amore, è come la morte: non c’è rimedio. Quando abbiamo finito il primo film insieme, è iniziata la relazione. Vuole sapere se fu amore? Fu una valanga”. “Due anni dopo ‘8 ½’, feci ‘Giulietta degli spiriti’. Poi Federico si fece vivo, di nuovo, perché facessi ‘Amarcord’. Voleva assolutamente che interpretassi il ruolo della Gradisca. Ma io, di nuovo, avevo lasciato il cinema, per dedicarmi alla famiglia, ai figli. Il mio marito di allora mi disse ‘guarda che se torni al cinema, i tuoi figli non li rivedi’. Mi mise davanti ad una scelta terribile: io ho sempre avuto un senso di responsabilità fortissimo. Così, non ho lasciato perdere la famiglia, e non ho fatto il film. Fellini mi mandò cento rose rosse infilzate in un filo di ferro: il segno di una grande passione e un grande dolore”.