BUONGIORNO UN CORNO!, LUNEDI 27, PARLATECI DEL PRECARIATO …

BUONGIORNO UN CORNO!, LUNEDI 27, PARLATECI DEL PRECARIATO …

Io ho perso comunque, lo chiarisco subito, e molti di voi con me. Sono contento naturalmente per la vittoria di Bonaccini in Emilia Romagna e ancora di più in realtà per la caduta da cavallo di Nerone/Salvini, ma queste elezioni lasciano comunque l’amaro in bocca. Bonaccini vince ma la Lega è il primo partito, non si può dimenticare questo dato. Avrei votato Bonaccini e Callipo senza esitazioni, non ci casco più nel trucchetto che tanto sono tutti uguali, non è vero. Scegli tra due destre, mi dicono i duri e puri con cui ho spartito molto a sinistra e su questo forse hanno ragione, ma intanto io scelgo e loro no e spariscono sotto l’1% dell’oblio, la loro opinione tra i vivi conta meno di quella di un gruppo Facebook dedicato alla collezione di tappi di birra. Le Pen, Salvini, Orban, Trump, non sono una delle tante emergenze inventate dal Pci prima e dal Pd poi per fregare le masse e costringerle ad approvare le politiche di Minniti sui migranti e quelle di Renzi sul Jobs act. Sono portatori di malvagità e ingiustizia sociale e vanno fermati e al momento non abbiamo altro modo per farlo che votare raggruppamenti vagamente progressisti dove piazzare ogni tanto una pennellata di antifascismo. Ma non basta, perché, come dicevo all’inizio, anche dove vince quello che chiamiamo centrosinistra la Lega ha un consenso altissimo, e non è effimero come quello dei 5 cosi che si è sgretolato in 18 mesi. Se per vincere una competizione elettorale devi combattere strada per strada, citofono per citofono e alla fine vinci perché arrivano i nostri, ma i nostri sono un magma che difficilmente avrà un futuro come le Sardine, che non sono portatrici di una proposta politica ma sono in grado di fermare quella dei cattivi, questo sì, se vinci in queste condizioni puoi perdere facilmente la prossima e molte altre battaglie future. Accettare lo scontro sul piano della civiltà è una battaglia antropologica non politica. La mia disperazione e quella di tanti altri, il grande freddo sociale che sento pervadere la società da tempo, consiste nel non trovare nessuna forza d’ispirazione socialista in grado di proporre una società nuova. Se pensiamo al fatto che non s’intravede da nessuna parte la possibilità di organizzare in politica quella parte di società che chiamiamo indistintamente “precariato”, che va dai rider agli schiavi di Amazon al precariato cognitivo, tutti accomunati da una paga di 5 euro l’ora e la mancanza di un futuro, questo ci dà la dimensione dell’impossibilità di delineare una prospettiva economica futura per il superamento delle disuguaglianze economiche. E’ questa la vera sconfitta sociale degli ultimi venti anni ma anche più. L’incapacità di pensare a una società nuova tessendo e organizzando il filo della classe sociale più diffusa, il precariato, che è diventato l’asse portante dell’economia mondiale ma che a differenza degli schiavi del diciannovesimo secolo non trova nessuna forza politica che lo rappresenti. C’è poco da fare, tra tutti i pregiudizi del razzismo quello sui neri e sull’Africa è certamente il meno contrastato, a causa di questa stupida isteria collettiva che va sotto il nome di “politicamente corretto”. Parliamo in questo caso di Vanessa Nakate, ventitreenne ugandese, ambientalista africana impegnata nel movimento dei Fridays For Future. Se esistesse una graduatoria delle persone più prese di mira dall’ordinario razzismo di tutti i giorni ci meraviglieremmo di quante di queste in particolare siano nere e ancora di più africane. Adesso l’imbecille politicamente corretto potrebbe far rilevare che anche queste mie frasi sono una forma di razzismo perché sembrano determinare una sorta di classifica tra chi subisce più discriminazioni. Siccome chi segue questa rubrica sa bene che purtroppo ogni giorno parliamo di razzismo a tutto campo, oggi parliamo di Vanessa per parlare della paura dell’uomo e della donna nera, la paure dell’Africa. C’è una foto scattata a Davos in occasione del World Economic Forum. In questa foto si vedono Isabelle Axelsson, Luisa Neubauer, Loukina Tille e Greta Thunberg insieme con Vanessa Nakate. Erano lì per rappresentare le ragioni degli attivisti del clima contro l’indifferenza e l’ostilità dei grandi del mondo sul tema dei cambiamenti climatici. Vanessa Nakate si è occupata con le sue colleghe di un panel o tavola rotonda e successivamente ha posato per le foto di rito. Quando però la foto è stata pubblicata dall’Associated Press e immessa nel circuito internazionale, la parte della foto in cui era lei è scomparsa, erano rimaste soltanto le altre attiviste, tutte bianche. Un errore, uno scambio di foto? Questa è la tesi dell’Ap naturalmente, ma non è vero, è stata una scelta precisa, perché le foto non erano due, la foto pubblicata era stata tagliata appositamente. Giudicate voi se la scusa non è peggiore dell’episodio: David Ake, il direttore della fotografia di Ap, ha detto a Buzzfeed Uk che la foto è stata ritagliata “esclusivamente per motivi di composizione” e il fotografo “ha pensato che l’edificio sullo sfondo fosse fonte di distrazione”. L’edificio distraeva. Cioè il fotografo di Ap, non il giornaletto della parrocchia, ha ritenuto che per tagliare l’edificio non c’era alcun problema a tagliare l’unica persona di colore presente. Inoltre non si sono nemmeno scusati, hanno continuato a stupirsi delle reazioni del mondo civile. “Questa è la prima volta nella mia vita che ho capito la definizione della parola razzismo – ha commentato Vanessa Nakate – significa che non ho alcun valore come attivista africano? O le persone africane non hanno alcun valore? L’Africa è il Paese che inquina di meno ma noi siamo i più colpiti dalla crisi climatica. La cancellazione delle nostre voci non cambierà nulla. La cancellazione delle nostre storie non cambierà nulla”. Della gran brutta figura di Ap poco ce ne importa. Grande solidarietà è stata espressa da Greta Thunberg e da migliaia di attivisti per il clima in tutto il mondo. Che l’Africa sia considerata soltanto terra di conquista con non meno schifosa violenza diretta e indiretta di quella usata nei secoli passati è un fatto così evidente che non può essere negato, per questo viene tagliato, censurato, eliminato. Eppure l’indignazione generale è sull’uso che Tarantino fa della parola “nigger” anziché il corretto black. E intanto l’Africa muore, ma questo non indigna quanto una parola. Le questioni di giustizia vanno estremamente personalizzate e cerchiamo di spiegare perché. Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio ha scritto che “Non c’è nulla di scandaloso se un innocente finisce in carcere: è la legge che lo prevede”. Si è beccato il vaffanculo di Gaia Tortora, figlia di Enzo, e qui bisogna davvero personalizzare perché tutti conosciamo il dramma dell’uomo. Così come va personalizzata la carriera che hanno fatto gli accusatori di Tortora, sia i camorristi che lo hanno accusato, premiati con sconti di pena, che i magistrati che con superficialità, incuria ed evidente mancanza di professionalità hanno permesso che una grande ingiustzia si consumasse. Uno di questi, che non merita nemmeno di essere nominato, si è persino lamentato che la famiglia di Tortora è ancora arrabbiata con lui. Molte volte ci siamo chiesti quanti Enzo Tortora ci sono. Quante persone che fuori dai riflettori sono rimaste a lungo in carcere per lunghi anni perché un pm superficiale o colluso non aveva verificato un’omonimia, un numero di targa diverso, le circostanze per essere scagionati portate dal difensore. Abbiamo un campionario che va dal padre accusato di aver stuprato la figlia di due anni per un errore dei medici fino al “furbetto” che timbrava il cartellino in mutande, giubilato dal tribunale dei giornali e assolto dal tribunale vero, perché abitava in una stanza accanto alla timbratrice. Per questo non sono stato tra coloro che hanno apprezzato le parole del magistrato Gratteri che rimproverava i giornali di non aver dato spazio alla sua maxi retata anche nei giorni successivi agli arresti. Non è colpa mia se ho studiato e so per certo che l’accusa è una parte del processo, una parte soltanto. Certo, è facile da dare in pasto al popolo bue che cento calabresi arrestati sono della ‘ndrangheta, ma occorre la conferma del Tribunale per accertarlo. E’ questo che fa la differenza tra Falcone e Borsellino, che in questo sono riusciti, e alcune inchieste iniziate con arresti numerosi ed eccellenti e finite nel silenzio mediatico delle assoluzioni. Chi scrive ha subito numerosi processi per le inchieste giornalistiche svolte e ne è sempre uscito assolto, non solo per la qualità della documentazione prodotta nel lavoro ma per la fortuna di aver trovato nella dialettica processuale, composta appunto dalla sintesi operata dalla corte giudicante tra difesa e accusa. Con la criminalità organizzata fortunatamente non ho mai avuto a che fare, ma con la stagione degli anni di piombo sì. Bastava finire sull’agenda di qualcuno arrestato per essere a rischio. Magari nemmeno quello aveva fatto niente ma sottoposto a minacce e botte faceva il tuo nome per uscire da quel martirio. Qualcuno che aveva parlato al solo scopo di far cessare le torture si è ucciso in carcere per aver fatto arrestare altri innocenti. Persone trovate con un volantino in tasca si sono fatte dieci anni di prigione, tanti quanti chi aveva sparato e ucciso ma denunciando gli altri. Ecco, speravo che quella stagione fosse ormai alle spalle invece siamo ripiombati nell’inciviltà, non soltanto in quella giuridica. Invece si è tornati a generalizzare le questioni di giustizia. Io penso per esempio che il 99,9 dei grandi capitali in mano a privati sia di provenienza illecita. Per fortuna di tutti però non faccio il magistrato, perché questa mia idea fissa finirebbe per rendermi un pessimo magistrato. E scrivo 99,9 perché l’eventuale 0,1 che in statistica è un numero quasi privo di significato nella vita rappresenta una persona in carne e ossa che ha diritto a essere considerata unicamente per ciò che ha fatto o non ha fatto e non per quello che fanno tutti gli altri della categoria a cui appartiene. Chi non rispetta questo semplice principio, questo sì “ad personam” non vuole e non fa giustizia, vuole soltanto usare il suo potere personale per fare i suoi comodi.