SULLA DEPRESSIONE POST-PARTUM

SULLA DEPRESSIONE POST-PARTUM

“Tante volte mi sono sentita in colpa perché usavano mia figlia come esca per farmi reagire. Allo stesso tempo mi sentivo una madre di merda perché, dentro di me, sapevo che non lo avrei fatto nemmeno per lei. Non perché non la amo ma perché, se non mi amo io per prima, come posso fare qualcosa per un’altra persona, anche se è la più importante della mia vita?”Oggi ho letto questo messaggio, scritto da una mamma con un passato di DCA. Mi ha colpita nel profondo, perché mi ha ricordato come mi sentivo io, quando ero malata di depressione post partum. Amavo i miei bambini, volevo essere una buona mamma per loro, ma ero imprigionata in una bolla sospesa nel vuoto che mi tratteneva su un’altra dimensione. A volte mi sembrava di essere in uno di quegli incubi in cui vedi il sogno scorrere, ti rendi conto che stai sognando ma non riesci a svegliarti. Ecco, era proprio questa la sensazione. Io ero lì, ma non c’ero. Mi sforzavo di sentire ma ero anestetizzata. Volevo sentire il cuore allargarsi d’amore e restringersi di paura ma non riuscivo nemmeno a sentirne il battito. Ho un ricordo chiaro di una confusione assoluta e disperata di cui però ero consapevole. E quella consapevolezza era tutto ciò che avevo e a cui potevo aggrapparmi. Non l’amore per i miei figli, per la mia famiglia, nemmeno quello per me stessa. Solo la consapevolezza di quello che mi stava accadendo e che, appunto, mi stava accadendo. Che non ero io, quella. E che potevo uscirne e che ci sarebbe voluto tempo ma ce l’avrei fatta. Volevo arrivare a sentire la motivazione, la motivazione che erano i miei figli e che io volevo fossero la mia motivazione e che in quel momento non sentivo. Non perché fossi una madre di merda ma perché ero una persona malata. Quando, finalmente, ho accettato che la mia era una malattia, il senso di colpa si è attenuato e allora sì, che ho cominciato a combattere. Per i miei figli, per la mia famiglia ma soprattutto per me stessa.