LE STORIE DELLA DOMENICA:UN SAN VALENTINO RETRÒ

LE STORIE DELLA DOMENICA:UN SAN VALENTINO RETRÒ

Lei amava chiacchierare con le persone anziane, ostinate guardiane dei paesini fantasma che costellavano la sua terra. Erano i paesi dove la Vita era passata. Dove il selciato, se ci si fermava ad ascoltare, parlava ancora la lingua dei greci. Dove la roccia della montagna a farne da guardiana , aveva le rughe dei secoli, imprigionava canti, urla, risa, pianti, di tempi perduti, imbottigliati dentro viscere divenute tomba. Lei amava quelle strade. Il suo lavoro la portava spesso dentro quei mondi .Nessuno sapeva quale brivido le procurasse il vento che si insinuava in quelle valli remote, faceva sbattere usci stanchi di tedio e le portava le storie. Uno sciamano moderno si definiva tra sé e sé, avendo cura di non fare trapelare il segreto delle sue doti all’esterno, perché il mondo, anche quello moderno, odiava le streghe. Quella mattina, dopo alcune ore frenetiche, finalmente il riposo. Ma la macchina non aveva scelto la via del mare. Come Capra di metallo si era inerpicata su per una strada che prometteva di condurla verso un terrazzamento. Da lì avrebbe respirato la vita. Era sicura che quel cielo terso, quel sole splendente, quel falco a volare sovrano, erano tutti indizi che le avrebbero fatto trovare l’ infinito davanti a sé. Seguì l’istinto. Spense persino la musica. ” Pazzo di lei” di Antonacci in quel momento di soliloquio con la sua anima, le sembrava stridente, fuori luogo, bugiarda. Giunse in alto. Casette erano abbarbicate alla roccia nuda d’Aspromonte. Molte erano vuote. Avevano ceduto allo scempio del tempo. Avevano perso le porte, le finestre come si perdono gli occhi, la luce, morendo alla vita. Una, invece, si presentava ancora intatta. Era chiusa, non morta. Nessuno, tuttavia, all’orizzonte. Si volse verso il richiamo che lei sapeva essere l’ago della sua bussola: il mare. Lo sguardo spaziava libero. Lo Ionio profondo era davanti a lei. Era lontano. La fiumara, come cicatrice perenne sulla pelle arsa della sua terra, si snodava come un serpente sinuoso. Ostinatamente superava vallate e strapiombi e ne vedeva la foce, lontana…eternamente innamorata di quell’acqua salata che l’accoglieva come grembo di amante. Riempire lo spirito di infinito ripaga di ogni amarezza che il quotidiano propina. Lei era strana. Ma nessuno avrebbe saputo che si era seduta in terra, lasciando penzolare le gambe su un burrone a godere del silenzio e della compagnia del cielo, del falco, della sua capra di metallo che, indomito destriero, l’aveva portata sin lassù. Un rumore l’aveva fatta sobbalzare. Si era rialzata timorosa. – Cu siti? – aveva chiesto una voce arrochita dal dubbio e dal tempo. Era una voce anziana. Sulla soglia della “casa Viva” un uomo, rugoso come quella roccia che gli stava alle spalle. Austero ma non ostile. Lei che aveva trattenuto il respiro,lo rilasciò. Gli sorrise. Amava presentarsi con un sorriso. Era l’unica ricchezza che aveva e la portava in dono agli altri. Il vecchio, a sua volta sorrise. Era un tutt’uno con quello spazio. La sua presenza umana non alterava l’intorno. Le tese la mano e la invitò a raggiungerlo. Lei non era titubante, anzi provava una immediata empatia verso quel signore. Si avvicinò. Si strinsero la mano. Mani rugose che alla Vita avevano preso cento, mille volte e dalla Vita erano state prese cento, mille volte, in un pulito bilancio finale. L’aveva fatta accomodare. Una casetta pulita, fresca, profumava di ricordi. L’avevano colpita le tante foto disseminate nell’ambiente. – È tutto ciò che possiedo: i ricordi- Rispose l’uomo alla muta domanda. Lei ci andava a nozze coi ricordi. Amava le fotografie. Rubava l’immortalità dentro uno scatto. Moltissime erano foto in bianco e nero. Moltissime erano le foto di una donna. Foto fatte dal fotografo. Quando ci si agghindava a festa. Il migliore vestito, il migliore trucco, il migliore sorriso. – Melina- disse. Dentro un nome racchiuso il passato, il presente, il futuro di un uomo .Non aggiunse altro. Lei comprese. E attese. Osservava il volto della giovane che le sorrideva dalla foto. Bruna. Capelli acconciati secondo la foggia degli anni 50.Profondi occhi scuri. Occhi di donna cantati da Corrado Alvaro, occhi di Calabria in cui si annega dentro l’amore più sublime o dentro l’odio più efferato. Nella foto una giovane donna nel fiore dei suoi anni. Un tubino nero semplice a sottolinearne la figura in sboccio. La mano su una tenda. Le scenografie dei fotografi dell’epoca. – Aveva diciassette anni in questa foto. La vidi in America questa foto, a casa di una calabrese venuta ad abitare nel quartiere dove vivevo io. Mi innamorai di Melina guardando i suoi occhi sulla foto- Gregorio, Ioli per gli amici, era un emigrante. Aveva venti anni quando si era imbarcato su un bastimento da Napoli per raggiungere Nova York. Per un attimo lei aveva chiuso gli occhi e aveva visto il giovane scuro, con la sua valigia di cartone e i suoi sogni, salutare la madre e in quell’abbraccio sigillare un vecchio mondo e aprire le ali al nuovo. Non aveva guardato oltre il ponte. L’amore per la madre e i fratelli più piccoli lo avrebbe trattenuto. Era partito. Come altri prima e come altri dopo. Un mese e oltre di onde, di sciabordii, di ricordi e trepidazione per un avvenire sconosciuto ma che lui sognava di riscatto, di agiatezza, di novità. Era bello, virile. L’America gli aveva regalato il sogno. Tante storie con ragazze americane, libere, disponibili, allegre, amanti della vita e del piacere come lui. Ma risuonavano nella sua mente le parole della madre:- donne e buoi dei paesi tuoi- Aveva visto sul tavolo della vicina che lo aveva invitato a prendere un caffè, avendo due figlie in età da marito, la foto della loro cugina e se ne era innamorato. Aveva scoperto che viveva in Calabria, nello stesso paesino da cui era andato via lui. Quanto ci aveva pensato! Lui che poteva avere tutte le ragazze che voleva. Si era invaghito di una calabrese lontana che non sapeva nulla di lui e probabilmente non avrebbe mai saputo della sua esistenza. Dopo giorni di riflessione profonda aveva scritto alla madre esternandole il suo pensiero. Quanto tempo impiegava una lettera a giungere e una risposta a tornare! Ma quel mese non aveva fatto mutare la volontà del giovane. La madre gli aveva risposto. Finalmente era arrivata la lettera. Quante mani l’avevano toccata. La madre stessa,analfabeta, aveva affidato la risposta all’arte della scrittura del farmacista. Melina era proprio la donna per lui. Seria, bella e brava. Una perfetta donna di Calabria. Era la prima di 4 sorelle, il papà lavorava in Svizzera e i soldi in casa non bastavano mai. Doveva passare al piano successivo. Una sua foto da inviare alla ragazza con la richiesta alla sua famiglia di poterla corteggiare e poi sposare per procura. Pazzo! Si diceva. Pazzo! Lo diceva la mente. Ma il cuore gli confermava una decisione presa sin da quando quella foto gli aveva fatto andare di traverso il caffè dalla vicina. Il fotografo anche con lui aveva fatto un ottimo lavoro. Mica era finto? Un attore sembrava con indosso quel gessato che aveva noleggiato assieme al Borsalino nero che gli conferiva un’ aria misteriosa. Una foto da copertina di rivista patinata. Aveva scritto e aveva inviato. Occorreva attendere. Melina sognava come ogni ragazza della sua età. Sognava il Cavaliere senza macchia e senza paura come quelli dei libri che leggeva. Non voleva finire in sposa ai ragazzi del suo paese. La guardavano con sospetto .Una donna che sapeva leggere e scrivere era invisa, non sarebbe stata una buona moglie. Quando era arrivata la lettera erano in casa, la madre, lei e le sorelle. La madre l’aveva aperta dubbiosa e inquieta. Lei che doveva assolvere anche al ruolo di padre. Era caduta la foto per prima. Melina l’aveva raccolta da terra. Il fiato le si era smorzato. Chi era quel bellissimo giovane? Gli occhi le parlavano. Non sentiva le parole della madre. Le sorelle piccole e curiose la circondavano come si fa con una principessa. Le tremavano le mani. Quel giovane sconosciuto chiedeva di poterla corteggiare. Per procura! Che strana cosa si chiedevano le sorelline. Ma Melina e la madre sapevano cosa fosse. Alcune ragazze del paese erano partite e non erano mai più tornate. Di alcune si sapeva che avevano incontrato la felicità. Altre erano state inghiottite da un oblìo che non faceva osare chiedere. Melina sentiva i battiti del cuore accelerare. Che strano destino il suo! Ansia, trepidazione, ma un insano senso di avventura si era impadronito di lei. Voleva accettare quella proposta. Sentiva che quell’uomo doveva essere il padre dei suoi figli, lei che dal matrimonio al paese rifuggiva come dalla peste bubbonica! La madre l’aveva guardata. Non c’era bisogno di parole fra loro. Aveva farfugliato:- devo dirlo a papà- ma sapeva di avere già perso quella figlia, luce dei suoi occhi. Ioli e Melina si scrivevano. Lunghissime lettere. Piano piano l’ Amore era venuto fuori dalle parole . Loro avevano solo la parola, scritta, vergata su fogli che profumavano di loro. Leggevano fra le righe stati d’animo e sogni e quella vita insieme che vedevano dentro un film. Si scrivevano ogni sera. Di loro e del mondo singolo in attesa di farlo divenire un ” noi”‘ Poi spedivano . E le onde cullavano i loro desideri . Giugno era arrivato. Era una mattinata splendida. Cielo fresco, pulito. Il paesello in festa. Melina si sposava. Brulicavano le stradine di vita, coi bimbi a sciamare e a fare caciara. Le mamme tirate a festa. Le ragazze da marito invidiose ed eleganti nei loro abiti migliori. E c’era lei, bellissima nel suo abito bianco,cucito dalla madre di notte quando il buio celava le lacrime materne. Al braccio del padre, impeccabile ed orgoglioso, emozionato per quella figlia che amava , che non conosceva affatto perché era un emigrante e che non avrebbe mai conosciuto. In chiesa ad attenderla…lui.Era uno zio di Ioli, colui che l’avrebbe sposata per procura. Mostra la foto il signor Ioli. Lei era raggiante come tutte le spose. In quella foto guardava lontano, guardava lui con amore, con le promesse che il Dio degli uomini regala all’eternita. Ioli il giorno del suo matrimonio lo aveva voluto vivere da solo. In quella casetta a Brooklyn che con sacrificio aveva comprato per loro .Aspettava. Aveva fatto dell’attesa la sua potente alleata. Sapeva che gli avrebbe portato anni di felicità. Erano marito e moglie! Stringeva al cuore quella fotografia nelle lunghe notti dentro la cabina del bastimento. Contava i giorni, le ore, i minuti. Chi parte è sempre più forte , recitava un detto del suo paese. Chi rimane piange. Lei sapeva delle lacrime della madre e delle sorelle. Il suo cuore le custodiva come una sacra reliquia. Ma il suo posto era oltre l’ Oceano. Chissà come sarebbe stata la sua vita. Chissà se l’Amore li avrebbe benedetti. Sperduta dentro un porto immenso. Sola e frastornata. Instabile sulle gambe dopo giorni di mare e di onde. Eppure gli occhi si erano cercati, si erano trovati, si erano chiamati. Stringeva la sua valigetta di cartone, come ultimo baluardo prima del futuro. Le aveva stretto la mano. Con fiducia lei aveva messo la sua piccola e bianca dentro quella grande e forte del giovane che le sorrideva. Marito. Moglie. E si erano incamminati felici. Avevano costruito Melina e Ioli. E mai quelle mani si erano separate. I figli, i nipoti e mai quel primo sguardo spento. Le foto a sottolineare i momenti come rulli di tamburo dentro quel Nuovo Mondo, il loro mondo. Poi la malattia, il ritorno in Italia al paesino, normale epilogo delle Vite intense e grate. Le aveva offerto del vino e del salume a celebrare l’accoglienza che le strade percorse nel mondo non mutano mai, è dna della gente di questi luoghi. Un rumore dalla stanza attigua. L’uomo l’aveva presa per mano e l’aveva condotta con sé. Seduta sul letto, fiera come una regina, Melina. I capelli candidi e gli occhi ormai velati. -Non conosce più nessuno. Ma voleva tornare al paese-L’aveva accontentata Ioli, lasciando tutti gli affetti. Come quando erano partiti. Come quando si erano sposati. Lei la guarda . Sorride Melina, persa nel suo San Valentino retrò:- ha gli occhi belli l’amore mio, ha gli occhi belli l’amore mio-Non era l’Alzheimer a farglielo canticchiare. Era il cuore, lui non dimentica mai ! Roghudi vecchio (RC)Foto di Marina Neri