MUCCINO SCRIVE SU FB CHE DA 23 ANNI MALTRATTO I SUOI FILM

MUCCINO SCRIVE SU FB CHE DA 23 ANNI MALTRATTO I SUOI FILM

MUCCINO SCRIVE SU FB CHE DA 23 ANNI MALTRATTO I SUOI FILMQUALCOSA NON TORNA NELLE DATE (SE VI VA LEGGETE QUI) Il regista Gabriele Muccino ha scritto oggi duepuntuti commenti sulla mia paginetta Facebook per lamentarsi un po’ della recensione al suo nuovo film “Gli anni più belli”, appena uscito nelle sale. Mi interessa più il primo dei due pensierini, l’altro è vagamente offensivo, non fosse altro perché mi dà dell’ignorante e del pessimo critico. Capita. Magari lo sono davvero. Digita il regista: “Sono ormai ventitré anni che scrivi male dei miei film. Io mi sono stancato da un pezzo di sapere cosa ne pensi. C’è a chi piacciono i Beatles e a chi i Rolling Stones, del resto. Il mondo è bello perché vario. Ti saluto di affetto”.Ringrazio per l’affetto, che ricambio sperando sia vero. Naturalmente Muccino ha tutto il diritto di fregarsene di quanto scrivo: ma allora perché se la prende? In ogni caso ho ripensato a questa storia dei ventitré anni: proprio non tornano le date. Ricordo la simpatia convinta con la quale scrissi dalla Mostra di Venezia, su “l’Unità”, del suo “Come te nessuno mai”; al punto che, qualche settimana dopo, fui invitato in una televisione specializzata nel cinema per difendere Muccino in una singolar tenzone con Roberto Silvestri del “manifesto” che invece preferiva il cinema di Luca Guadagnino. Ed era il 1999.Rammento inoltre, anche se purtroppo non ho ritrovato i pezzi in questione per questione tecniche legate alla memoria del mio computer, di aver scritto con cura e rispetto di “L’ultimo bacio” e di “Ricordati di te”, in un generale clima cinefilo che già inclinava allo sfottò di Muccino, secondo me ingiustamente.Ora il regista romano ha girato 12 film tra il 1998 di “Ecco fatto” e il 2020 di “Gli anni più belli”. Credo di aver maltrattato davvero, per quel poco o nulla che conta il mio parere, solo “Baciami ancora” e “A casa tutti bene”, recensendo con rispetto molti degli altri, a partire s’intende da “La ricerca della felicità” con Will Smith, che molto mi piacque, anche per il tentativo riuscito di introdurre elementi di neorealismo in una confezione hollywoodiana. Tra l’altro sia Muccino sia il sottoscritto balbettiamo, il che introduce un ulteriore elemento di solidarietà.Ho dato comunque uno sguardo veloce al mio archivio e ho ritrovato almeno una quindicina di articoli su di lui. Non sono recensioni vere e proprie, ma tutto si può dire, credo, meno che custodiscano un pregiudizio tignoso nei confronti di Muccino e del suo cinema. In particolare in uno di essi, che pubblico qui sotto, ironizzo proprio sul tono esagerato di alcune stroncature cadute su “L’ultimo bacio”, citando per nome e cognome i miei colleghi critici e sostanzialmente difendendo Muccino dall’andazzo. Leggete qui sotto, se vi va. Era il 2008: dodici anni fa.—–Michele Anselmi per “il Riformista” del 15 novembre 2008Ci fu un periodo, dopo “L’ultimo bacio”, in cui l’aggettivo “mucciniano” diventò massimamente dispregiativo presso una certa cinefilia d’attacco. Figurarsi cosa accadrà quando Gabriele Muccino, reduce da due lussuose trasferte hollywoodiane alla corte di Will Smith (“Seven Pounds” debutta il 19 dicembre negli Usa), tornerà in Italia per girare l’annunciato seguito di “L’ultimo bacio”, ovvero “Baciami ancora”. Per ora c’è solo un soggetto: si sa, però, che il film sarà pronto per il gennaio 2010, in modo da uscire a dieci anni esatti dal primo. Stesso cast, a partire da Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno, tranne defezioni, pure possibili ma non probabili, nei ruoli di contorno. L’ambizione è di riprendere in mano quei personaggi afflitti dalla sindrome di Peter Pan per vedere che fine hanno fatto. Idea rischiosa e confortevole allo stesso tempo, ma sarebbe ingiusto gridare sin da ora alla pura “operazione” commerciale. In fondo anche Monicelli fece il bis con “L’armata Brancaleone” e “Amici miei”, a intervelli ancor più ravvicinati, e nessuno gridò alla scandalo.Certo, a rileggerli oggi, colpiscono i giudizi feroci che trafissero “L’ultimo bacio”. Baciato da un successo di pubblico senza precedenti (incassò una cifra pari a 15 milioni di euro), la commedia corale più amata dai trentenni venne stroncata impietosamente dalla critica “di tendenza”. Giona A. Nazzaro, su “Rumore”, infilò nove aggettivi di fila – “vigliacco, vergognoso, alberoniano, pretesco, concentrazionario, democristiano, clerico-borghese, berlusconiano, sadico” – per sintetizzare la repulsione estetico/morale nei confronti del film. Anche Alessandro Borri, su “Close-up”, non andò giù leggero: “In questo loro essere precarie incarnazioni di archetipi assoluti, i personaggi mucciniani non possono esimersi dall’esprimersi come libri stampati”. Meno giovane, Paolo Mereghetti rimproverò Muccino di “giocare troppo con gli stereotipi più superficiali per non far sospettare che a guidare tutto sia solo la furbizia di chi non vuole dispiacere a nessuno”. Magari fu tutta colpa di quella battuta – tra le più spernacchiate – detta dal protagonista Carlo: “È la normalità la vera rivoluzione”. Come se il pensiero del personaggio dovesse per forza coincidere con quello del regista. E del suo cinema: da allora rubricato pigramente alle voci “mucciniano” e “muccinista”.