BUONGIORNO UN CORNO!, MERCOLEDI’ 26, LA NAVE DEI FOLLI …

BUONGIORNO UN CORNO!, MERCOLEDI’ 26, LA NAVE DEI FOLLI …

Lunedì avevamo individuato, nel dibattito scatenato intorno al coronavirus, il tema della sospensione del diritto alla libera circolazione rispetto a Schengen, ma adesso si propone una questione dalle conseguenze ancora più profonde nelle nostre esistenze, la mancanza o divieto di contatto fisico. Rendere apocalittica un’emergenza sanitaria relativa a una epidemia influenzale, andata fuori controllo ma pur sempre epidemia influenzale, ci permette d’intravedere cosa accadrà nel futuro prossimo dei nostri costumi sociali. Dietro a tutto c’è la questione del controllo, il voler limitare la circolazione con vari pretesti, ieri impedendo le migrazioni e oggi, con la scusa della protezione sanitaria, con la richiesta d’impedire la circolazione interna a una stessa nazione. Tutto ciò non è parte di una distopia futura ma di un preciso progetto di dominio attuato nel presente. Aggiungendo a questo utilizzo dell’emergenza la limitazione del contatto fisico, motivato dal pericolo del contagio, ci troviamo di fronte a uno scenario pericolosissimo, per adesso dal punto di vista dell’ideologia dittatoriale che l’emergenza prende a pretesto per scavare nelle nostre coscienze una visione sociale inaccettabile e antisociale. E’ questo un tempo in cui bisogna rileggere con attenzione Michel Foucault e la sua “Storia della follia nel’età classica”, in cui ci parla della “Nave dei Folli”. Può sembrare pedante ma in questa rubrica di appunti di vita quotidiana come sapete non usiamo mai la cultura per farci belli, soltanto a fini molto pratici. Parliamo allora di un quadro del 1494 di Hieronymus Bosch, La Nave dei Folli appunto, di cui Foucault riprende molti anni dopo il triste viaggio. In sostanza i governi europei medievali, non sapendo cosa fare di una serie di diversi, che andavano dai “matti” agli ex contagiati di lebbra, li carica su un battello che va in giro senza sosta per mari e fiumi del vecchio continente. Il quadro di Bosch vuole rappresentare la mancanza di umanità da parte del corpo sociale e decisionale nel mandare alla deriva i diversi, gli espulsi, i contagiati, gli infetti. La nave dei folli diventa quindi un paradigma per comprendere come agisce il fenomeno sociale e culturale dell’esclusione di ciò che non sappiamo affrontare con gli strumenti della ragione, mandando alla deriva un gruppo sociale “pericoloso” per consentire alla società di non aver paura. Foucault ci spiega dove affonda le radici l’esclusione, spacciata come “cura” di un male, la follia, che la società non sa altrimenti curare e viene quindi eliminata per decreto punitivo, eliminando il diverso, la sua soggettività, il suo corpo. Se vi annoia Foucault attirerà forse di più la vostra attenzione una serie tv che si basa su questa lettura sociale, The Walking Dead, in cui il “non morto” ricalca la diversità dei personaggi a bordo della nave dei folli. In quelle società medievali si gettavano le basi di quanto avviene oggi, la separazione cioè del diverso, ma a decidere su cosa s’intenda per diversità è sempre la morale del tempo, oggi il diverso è il contagiato da coronavirus per esempio. “Un essere da manipolare – scrive Foucault – nell’atroce autolegittimazione da parte del corpo sociale di fronte alla millantata salvaguardia della sanità dei cosiddetti “civili”. Quello che sta avvenendo in questi giorni, oltre a farci capire la grandezza di autori che hanno dissezionato clinicamente e senza remore ideologiche, fin da 50 anni fa, la nostra miserabile struttura sociale, mostrandola nella sua brutalità reale, senza infiocchettarla per renderla digeribile, ci fa capire quale tendenza si nasconde dietro l’idea di bloccare la circolazione e il contatto tra esseri umani. Magari non si chiama più Nave dei Folli, anche perché qui i folli sono quelli al di fuori della nave, gli apocalittici che prendono a pretesto le emergenze per imporre un sempre più forte controllo sociale, ma la follia sta nel rovesciare la stessa utilità dei provvedimenti. Lo smart working per esempio, una funzione che dovrebbe socialmente aiutarci nella produzione da qualsiasi luogo dello stesso impegno che oggi un pc e una connessione ci permettono di svolgere senza recarci in ufficio, non viene propagandato per migliorare le nostre vite consentendoci, per esempio, la genitorialità da casa senza rinunciare a lavoro e stipendio, no, viene propagandato come un modo per farci evitare di entrare in contatto l’uno con l’altro, una modalità che, nella mente bacata dei teorici della grande paura di tutto, serve a rendere infinita quella distanza di due metri che i medici assicurano essere sufficiente per farci evitare la trasmissione del coronavirus da persona a persona. Oggi trovate decine di articoli sullo smart working di cui fino a ieri la gran parte dei lettori ignorava l’esistenza e la possibile applicazione, non a fin di bene ma a fin di male. Così come, di pari passo con l’estendersi dell’emergenza coronavirus, si fanno strada nella testa della gente idee che sembravano appartenere soltanto a quei quattro gatti che ogni tanto si radunano su una montagna annunciando la fine del mondo. Oggi quelle idee di fine del mondo, di peste sociale, di isolamento degli individui come sopravvivenza, fanno sì che a salire sulla montagna è costretto chiunque provi a ragionare, a opporre la razionalità all’impazzimento che questa ennesima emergenza sta provocando, in un tessuto sociale già impoverito e impaurito dalle continue emergenze che permettono un controllo sempre più totale sulle nostre vite. Un controllo che mette in totale discussione l’intero impianto di libertà su cui si è retta fin qua la società.