ABBIAMO TUTTI DELLE FERITE NELL’ANIMA DA RIEMPIRE
Si vede che funziona così: mezzi semideserti, esercizi pubblici in cui quando entri vieni osservato da sguardi obliqui, che se già prima di tutti questi isterismi non mancavano, ora si sono maggiormente accentuati. Poco rumore, strade che silenziose offrono scenari differenti. I cancelli delle scuole chiusi, il caos che manca la mattina, quando riuscire a districarsi tra auto parcheggiate in doppia e tripla fila e schiamazzi di voci che sovrastano il suono della campanella diventa quasi un’impresa ardua. Qualcuno indossa questa “mascherina”, ma alla fine non sa nemmeno lui/lei il perché, non sa se si sta difendendo oppure sta difendendo chi incontra dal suo solito malanno stagionale. La natura che ha deciso di anticipare i tempi e così ti ritrovi il giardino disseminato di fioriture che solitamente apparivano in tutto il loro splendore nei mesi giusti, quelli prestabiliti da un ritmo cadenzato che ci accompagnava da anni ormai. Pochi incontri in queste strade di Milano che cerca di ritornare alla normalità tra dubbi, domande e risposte che tardano ad arrivare. Qualcuno è quasi contento perché forse il rumore di fondo pre-esistente era diventato troppo, talmente troppo da non riuscire ad ascoltare neanche il suono dei propri pensieri. Altri invece sono scontenti proprio per il motivo opposto, perché ora sono quasi “costretti” a tornare ad ascoltarsi e ciò che sentono pare non garbargli nemmeno un po’. Alcuni si domandano come hanno fatto a trascinarsi per enne tempo in questo modo, altri riscoprono il piacere di guardarsi intorno e di cogliere quei piccoli particolari che venivano dati per scontato, dato che non ci si poteva permettere il lusso di fermarsi per osservarli. Bisogna correre, arrivare puntuali, esserci, anche se alla fine non si è più. Atmosfere che ci mettono davvero in contatto con il nostro io, quasi un sollievo per chi era costretto a ritagliarsi gli angoli della notte per poter tornare a vivere, nella quiete, quella quiete che adesso si può vivere anche durante il giorno. Possiamo dire che se un merito questo coronavirus possiede forse è proprio quello di (chi per un verso e chi per l’altro), averci messi nella condizione di riappropriarci di un po’ del nostro tempo, quello che più volte abbiamo reclamato ma per il quale poco abbiamo fatto affinché non ci fosse portato via. In molti infatti hanno reclamato o si sono dedicati alla ricerca di quella sorta di libertà che avevano perduto non si sa bene dove. Ora ci si lamenta per il tempo in cui non si è più protagonisti attivi della propria esistenza. Uno strano bisticcio di pensieri, ma anche qualcosa di riduttivo che ha contribuito ben bene ad abbassare la percezione del concetto di libertà. Si è liberi davvero quando, come di consuetudine, ci si reca nel locale di tendenza per il solito aperitivo? Lo si fa perché realmente si sente il bisogno di stare tra la gente, oppure lo si fa solo perché usa così e se non ci si adegua si è out? Si intasano le strade della città per accompagnare i figli a scuola, anche se esistono i mezzi, i pedibus che grazie al volontariato dei nonni funzionano alla grande. Lo si fa perché? Si deve ostentare il suv o il look adottato quel giorno, oppure si ha realmente il bisogno di scambiare due parole con gli altri genitori, quando la maggior parte delle volte l’azione viene svolta alla velocità della luce e non si scende neanche dall’ingombrante vettura che non si sa dove mollare? Poi ci sono i salutisti, gli sportivi, quelli che non sgarrano mai e guai ad avere un solo etto in più attaccato al corpo. Allora: giù di palestra, ma che non sia quella dei soliti “sfigati” però, tra attrezzi mai visti prima e completini da sfoggiare, tra ammiccamenti con gli altri sportivi del caso e gli apprezzamenti dei personal trainer ( che ripetono a tutte le stesse cose, mettendo pezze ai rapporti stantii dei loro allievi) si va di esercizi a tutta mancina. Ora senza questa via di fuga dalla solita routine è diventato uno stress…, Chissà quanti si recano davvero in palestra per stare meglio fisicamente e quanti invece non la usino come palestra sì ma di “caccia grossa” per dare il via all’ennesima storia che durerà il tempo di un incontro clandestino consumato in uno dei migliori alberghi di Milano. In tutto questo vortice di reazioni e perplessità campeggiano anche gli “annoiati dal lavoro”, quelli che per tutta la settimana si lamentano dei colleghi di ufficio, delle mansioni che sono chiamati a ricoprire, dello stress a cui sono sottoposti, salvo poi recriminare per il collega raffreddato che andrebbe “isolato” o lasciato a casa, oppure di quanto impatti sulla loro libertà l’essere privati della presenza fisica in ufficio lavorando da casa. Nessuno o in pochi pensano a quanti un lavoro, loro malgrado, non lo hanno più proprio perché considerati “esuberi” da un giorno con l’altro, isolati, lasciati a casa, come se fossero appestati di cui liberarsi, esattamente come vorrebbero accadesse ai loro colleghi, tanto “amati”. Si recrimina una libertà che il più delle volte non si è in grado di gestire e che spesso viene confusa con ” l’esserci ad ogni costo”, dove ci sono tutti, senza nulla da raccontare ma solo per uniformarsi alla massa che compie gli stessi gesti. Il fatto è che ognuno di noi possiede delle ferite aperte da riempire, dei vuoti da colmare, delle soddisfazioni mai arrivate da far pesare sugli altri, senza comprendere poi che siamo noi gli artefici principali delle condizioni in cui viviamo. Un popolo strano “ammalato” di vittimismo che pare stargli stretto ma che non fa nulla per evitare. Molte persone che guardano il particolare sciocco piuttosto che soffermarsi su particolari importanti, fondamentali, quelli che si ripercuotono sulle nostre vite e che lasciamo scivolare, così, morbidamente, quasi come se non ci riguardasse la cosa, quasi come se tutto si riducesse all’indifferenza totale perché, cosa vuoi: ” capita ad altri, non capiterà mai a me”… Si inseguono notizie ed aggiornamenti circa l’evolversi della situazione, si cerca di tornare alla “normalità” ( quella che poi è tutto tranne che quello), ci si crogiola tra cose che si potrebbero fare e cose che vanno fatte, si parla di mentalità aperta, non discriminante, informata ma lo sguardo si sofferma su mascherine non indossate correttamente, maglioncini usati nelle conferenze, polemiche sterili di una campagna elettorale, per qualcuno senza fine, ed i giorni trascorrono, le notizie si susseguono e la libertà resta una bella parola a cui si continua a dare una valenza che poco corrisponde al suo concetto reale. Siamo fatti così: dimentichiamo velocemente, saltiamo sul carro del “vincitore”, non importa chi sia a condurlo, e non teniamo conto che a correre c’è la nostra vita o la parvenza di ciò che ne rimane.
