MILANO AI TEMPI DEL CORONA
Potrebbe essere Ferragosto, se ci fossero più turisti a spasso. Oppure il fine settimana di un febbraio mite, con le piante già in fiore, se ci fossero i milanesi a godersi il cielo limpido. E invece ilcoronavirusha spintoMilanoin un limbo. In una zona grigia e un equilibrio instabile in cui basta un minimo accadimento per cadere di qua o di là. Nel pessimismo più nero o nell’ottimismo più sfrenato e immotivato. L’ho capito oggi andando in giro per alcune delle strade più frequentate della città. Mete della movida, dello shopping e dei turisti: corso di Porta Ticinese, via Torino, piazza del Duomo. Chiusi cinema, ristoranti, musei. Appena uscito di casa mi imbatto nel ristorante cinese Kobe, con le serrande abbassate. Si giustifica con una serie di cartelli che spiegano la volontà di proteggere i propri dipendenti, ma anche la città, evitando l’aumento delle probabilità di contagio in un luogo di ritrovo pubblico. Di fronte le colonne di San Lorenzo separano dall’omonima chiesa, il cui sagrato, uno dei preferiti luoghi di aggregazione, rifornito dalle birrerie prospicenti, è desolatamente vuoto. Lo spazio monumentale affascina anche me nella sua solitudine austera e nella luce calda del pomeriggio, che permette di godere dei singoli particolari. Non ridete: per un milanese è un fatto davvero eccezionale. Altre insegne compaiono sulle vetrine di una farmacia per avvertire dell’esaurimento delle mascherine e dell’Amuchina, che a causa della speculazione si trova online al prezzo dei tartufi. Gli altri negozi del corso, trendy e molto frequentati da una clientela giovane sono desolatamente vuoti. Eccetto uno che ha un’ottima affluenza: è della catena Tigotà e indovinate cosa vende? Detersivi, disinfettanti, prodotti per la pulizia del corpo e via dicendo. Per strada quasi nessuno indossa la mascherina (ne incontrerò meno di una decina in qualche km di passeggiata, soprattutto stranieri, che immaginano di vedere comparire il fantasma di Madre Teresa a ogni angolo). Nessun turista, neppure in via Torino, che termina in Piazza del Duomo ed è una delle principali vie dello shopping non di lusso, dove solitamente non si riesce a camminare sui marciapiedi. I tram corrono veloci nel traffico inesistente. Poca gente nelle vetture, perfino seduta. Finalmente costituiscono una valida alternativa ai taxi, per i milanesi spesso una chimera, che infatti affollano con una coda interminabile il posteggio di piazza del Duomo. Finalmente la Cattedrale dei milanesi risalta nel suo massimo splendore riaffiorando tra le palme di una piazza semivuota, dove i piccioni sono più dei turisti. Un gruppetto di stranieri ascolta la propria guida raccontare le meraviglie del Duomo di Milano, il cui ingresso è ancora off limits in osservanza dell’ordinanza che limita le aperture dei luoghi più frequentati. Un paio di turisti indossa la mascherina, curiosamente tirata in alto sulla fronte come per tenere in ordine i capelli, o in basso come un cura barba sikh. Un parcheggio di introvabili share bike, oggi affollato, porta a Corso Vittorio Emanuele, uno dei templi dello shopping di lusso, in cui i turisti oggi si contano sulle dita. Sotto gli archi si passeggia senza problemi, ammirando le vetrine di negozi desolatamente vuoti, in cui i commessi non sanno come passare il tempo. Così è alla Rinascente: al piano terreno, il più affollato e facile dove ci sono tutti le marche di profumi più importanti del mondo e pochissimi turisti. Tanto che i commessi si aggirano con ventagli di cartoncini tester e bottigliette, aggressivi come venditori di tappeti in un suq, a caccia di clienti. Continuo per Corso Vittorio Emanuele tra cinema chiusi “In ottemperanza all’ordinanza ecc.” e qualche negozio che prova a rassicurare i clienti facendo indossare la mascherina ai commessi, ma neppure questo trucco funziona. Mi imbatto anche nel primo mini-flash-mob (2 persone) che cerca di dare la sveglia alla città sotto divertenti cartelli “Quarantena vs macarena”. Ma ha uno scarso seguito. Sono le 16.30. Do un’occhiata a Ripa di Porta Ticinese dove. sulla riva del Naviglio si affollano i celebri apero-bar, una caratteristica di Milano. Qui l’happy hour spesso è un sostituto economico della cena. L’orario di chiusura è fissato alle 18, per i locali che hanno posti in piedi. Ma non c’è allegria né presenze. Come se avessero chiuso con un’ora e mezzo di anticipo. Milano resiste, ma non reggerà ancora molto questa quarantena volontaria. Che blocca con il virus anche l’economia più importante d’Italia. Questa è la situazione oggi.
