NON CHIUDIAMOCI IN NOI STESSI, PATRICK ZAKY È ANCORA NELLE MANI DI AL SISI

NON CHIUDIAMOCI IN NOI STESSI, PATRICK ZAKY È ANCORA NELLE MANI DI AL SISI

Chissà se in Italia ci sarà un prima e un dopo il coronavirus, speriamo di no e che tutto si risolva bene e nel più breve tempo possibile. Sta di fatto che prima del coronavirus eravamo attenti alla condizione di Patrick Zaky, studente egiziano dell’Università di Bologna, imprigionato dal regime di Al Sisi in Egitto dov’era tornato per trovare la famiglia. Persona impegnata in difesa dei diritti umani, venuto in Italia all’Università di Bologna per realizzare se stesso nello studio e questo, quando abbiamo saputo del suo arresto, ce l’ha fatto sentire uno di noi. Anche perché non volevamo facesse la fine di Giulio Regeni morto ammazzato in un carcere egiziano e l’Università di Bologna e l’Italia si comportassero con Patrick come l’Università di Cambridge e la Gran Bretagna s’erano comportati con Giulio. E Amnesty Italia, società civile, università di Bologna, media italiani avevano acceso i riflettori sulla vicenda di Patrick Zaky riuscendo a farla diventare un caso internazionale e a evitare che subisse un trattamento ancora peggiore di quello che stava subendo. Patrick è ancora in carcere strappato alla sua famiglia, solo una costante illuminazione internazionale su di lui eviterà di fargli fare la fine di Giulio Regeni o di sparire in quel buco nero dell’umanità che sono le prigioni di Al Sisi. Non pensiamo solo a sconfiggere il coronavirus, pensiamo anche a non farci sconfiggere da quel virus. Restiamo umani, non chiudiamoci in noi stessi e continuiamo a ricordarci che Patrick Zaky è studente di una nostra università, facciamo di tutto perché si torni a parlare di lui e della sua condizione perché ha il diritto di tornare alla sua famiglia e ai suoi studi nel nostro Paese all’Università degli Studi di Bologna.