CORONAVIRUS, CRISI ED OPPORTUNITÀ

Va bene, una cosa è certa, il coronavirus non è un fatto positivo: persone stanno male, persone muoiono e moriranno, il sistema paese sarà d’agosto sotto uno stress incredibile, tanto dal punto di vista sociale quanto da quello economico. Va da sé quindi che provare a trovare dei lati positivi ad una situazione tanto seria, al di là delle battute che possono circolare a livello di social network, rischia di essere demagogia. Insomma, la solita storia che in cinese “crisi ed opportunità” si scrivono nella stessa maniera può risultare irritante.Tuttavia, nonostante la gravità dei giorni che stiamo vivendo e che stiamo per affrontare, l’attitudine a ricercare opportunità ed elementi positivi in ogni situazione, in piccoli quanto in grandi contesti, è probabilmente ciò che più differenzia un contesto vincente da uno perdente.Sicuramente l’Italia non è entrata in questa crisi nelle migliori condizioni: stagnazione economica latente ormai da tempo immemore, una classe dirigente molto spesso considerata non all’altezza, un Paese che in mille aspetti dovrebbe essere rinnovato, a partire dall’organizzazione pubblica, ma che nessuno è mai riuscito a rinnovare, anche a causa dell’esistenza di infinite corporazioni che, principale istituzione resistita nei secoli fin dalla creazione dei primi comuni e, ancora oggi, in grado di bloccare ogni tentativo di riforma in questo Paese.Quello che e’ emerso però, e che, nonostante ciò che spesso viene da pensare guardandosi in giro, in Italia non tutto è da buttare e ci sono certamente dei capisaldi che in questi giorni di crisi stanno emergendo prepotentemente, da cui occorre ripartire.Il primo di questi in ordine di importanza, tenuto conto di quanto sta accadendo in questi giorni, è certamente rappresentato dalla sanità pubblica che, pressochè da sola, sta sorreggendo le sorti delle zone più colpite dall’epidemia. Se questo è possibile, oltre che al sacrificio di tanti operatori che quotidianamente stanno dedicando la propria opera al servizio dei cittadini, lo si deve anche al fatto che, tutto sommato, la sanità in Italia è fatta anche di eccellenze, che la ricerca è avanzata e che il personale è preparato: tutte cose che non si improvvisano al momento del bisogno e in emergenza.Ebbene, ci stiamo rendendo conto giorno dopo giorno di quanto questa sanità pubblica costituisca un patrimonio da salvaguardare e mantenere nel tempo. Se l’emergenza corona virus ci avrà insegnato anche solo questo, e ci farà in futuro rivalutare la necessità di investire in formazione, in infrastrutture e in personale sanitario, già sarà un qualcosa di positivo.Un altro aspetto che si sta affacciando prepotentemente, è proprio quello della riforma tanto agognata e mai arrivata della pubblica amministrazione: parole come smarth working, pubblica amministrazione digitale o servizi telematici che, per anni, si è fatto fatica ad introdurre in un sistema elefantiaco come quello della pubblica amministrazione italiana, in questi giorni hanno preso prepotentemente la ribalta nei fatti, prim’ancora che nell’opinione pubblica e dell’informazione. Improvvisamente si è “scoperto” che negli uffici pubblici, nelle cancelleria dei tribunali, o in ogni altro luogo che presta servizi al cittadino, dia possibile limitare l’accesso dando appuntamenti in via telematica, inoltrando documentazione in forma digitale o, in ogni caso, massimizzando l’utilizzo delle nuove tecnologie.Ciò che sarebbe potuto e dovuto arrivare per legge e per cultura, ce la stiamo conquistando per paura, nella speranza che queste piccole conquiste verranno mantenute anche una volta che l’emergenza sarà passata.In prospettiva, chissà, potremmo anche trovarci al termine di questa crisi con una classe dirigente più matura, più interessata ad affrontare le situazioni e risolvere i problemi piuttosto che a non averne di problemi.Potremmo addirittura ritrovarci con una classe imprenditoriale e dirigenziale che non ha più bisogno del controllo fisico sul dipendente (una sorta di imprenditoria alla San Tommaso che se non vede non crede) e sempre più in grado di organizzare il lavoro in maniera più efficiente e snella.Del resto, due cose sembrano abbastanza certe. La prima è che l’impatto economico di questa vicenda rischia di travolgere l’assetto produttivo, imprenditoriale e commerciale di questo paese come fosso uno tsunami cui chi non si saprà riorganizzare avrà grosse difficoltà a sopravvivere.Il secondo è che, se c’è una cosa in cui gli italiani nella storia sono sempre stati maestri, è quella di sapersi reinventare approfittando delle nuove condizioni venutesi a creare.Resta da capire se anche questa volta si tenterà di prendere qualche scorciatoia per salvare dei piccoli orticelli e non cambiare nulla in maniera molto gattopardesca, oppure se si vorrà cogliere l’occasione per rifondare dalle radici la struttura di una Nazione che da molto aspetta quelle riforme necessarie a renderla competitiva nel mercato globale.Certo, non è scontato che accada, ed anzi guardando al nostro passato è molto più probabile che il tentativo di superare la crisi con il minimo dello sforzo ed il minimo del cambiamento sia quello che prevarrà.Va da sé però che in questo caso sarebbe una occasione enorme sprecata, l’ennesima, forse l’ultima