MORTO MCCOY TYNER A PHILADELPHIA, IL PIANISTA AFROAMERICANO AVEVA 81 ANNI

MORTO MCCOY TYNER A PHILADELPHIA, IL PIANISTA AFROAMERICANO AVEVA 81 ANNI

Di sè diceva poco, non amava i grandi discorsi intorno al jazz e quel poco che diceva lo affidava alla sua musica, al suo magico pianoforte. McCoy Tyner, il grande jazzista di Filadelfia classe ‘38, cresciuto con Bud Powell, Sonny Rollins, Wayne Shorter, se n’è andato ieri dopo una lunga malattia. «I miei artisti chiave? Art Tatum, Bud Powell e Duke Ellington» questo lo confessò una volta; nel 1960, quando iniziò come pianista sostituendo Steve Kuhn, entrò giovanissimo nel quartetto di John Coltrane con Elvin Jones alla batteria e Jimmy Garrison al contrabbasso. LA RIVOLUZIONENasceva quel jazz che avrebbe dato uno “schiaffo” al passato, di pari passo con la grande Storia che disegnava anch’essa rivoluzioni destinate a segnare il tempo. Poco prima del ‘68, l’America ruotava così attorno a vinili dal titolo My Favorite Things, A Love Supreme, Ballads, Ascension ma più tardi McCoy Tyner non avrebbe riconosciuto quelle “strane” melodie come le proprie; il free jazz non era esattamente il “suo” jazz anche se, con il passare degli anni, la grande musica di Tyner non avrebbe mai segnato un vero e proprio divorzio dal free ma anzi lo avrebbe arricchito di elementi africani, asiatici.Nato da una famiglia modesta e molto religiosa, quella fede che Tyner si porterà sempre dietro (suo padre suonava nella chiesa di quartiere, sua madre era un’estetista) McCoy iniziò a prendere lezioni di piano a 13 anni. A 18 diventò musulmano: «La mia fede mi ha insegnato la pace, l’amore per Dio e ha influenzato la mia musica». Ottanta album in carriera, quattro Grammy vinti, migliaia di concerti in ogni parte del mondo, Tyner si è sempre sentito un “fortunato” e un “man” che avrebbe dovuto cercare comunque nuove strade, fino all’ultimo: «Mi sento uno che si è espresso dentro il linguaggio del jazz, tutto qui. Spero di aver creato qualcosa di nuovo ma esistono sempre nuove frontiere. Oggi ascoltiamo una musica molto diversa; quelle dei Sessanta e Settanta se la godono gli amatori». Dopo il mitico quartetto con Coltrane, McCoy Tyner pubblica con la leggendaria Blue Note, tra il ‘67 e il ‘70 diversi album hard pop: The Real McCoy, Tender Moments, Expansions, Time for Tyner. Più tardi, Tyner sbarcherà alla Milestone records dove partorirà lp come Sahara, Song of the new world, Englighnment.Tyner torna e scappa dalle sue radici, e questo sarà il leit-motiv della sua carriera di pianista e compositore. C’era una volta Coltrane ma c’è ancora: «John è stato l’unico grande innovativo», continuava a ripetere «ma anche lui fu influenzato da altri grandi come Charlie Parker, Miles Davis, Coleman Hawkins, Armstrong».Nella sua musica cercava «di trovare un suono che possa riconoscersi anche nell’oggi, senza ricorrere ad ideologie o a definizioni. In questo la lezione di Coltrane è stata fondamentale: con lui si poteva iniziare un disco su una certa struttura e poi farlo vivere di vita propria, come in una sorta di crescita spirituale e magica».Negli Anni ‘80 fa tournée in tutto il mondo con il suo gruppo insieme ad Avery Sharpe al contrabbasso e Louis Hayes alla batteria cambiando ancora una volta etichetta, stavolta con la Telarc records ed è del 2009 il suo ultimo lavoro solista, Solo: Live from San Francisco. A chi gli chiedeva cosa significasse per lui il jazz, rispondeva: «È quella musica che sa rimanere pura attraverso il tempo. Noi musicisti siamo benedetti dal cielo».