MCCOY TYNER L’ULTIMA VOLTA

MCCOY TYNER L’ULTIMA VOLTA

L’ultima volta ho visto McCoy Tyner un anno fa, al Blue note di New York. E sono rimasto male. Sapevo che da anni lottava contro un tumore, ma vederlo ridotto quasi al fantasma di se stesso mi ha profondamente intristito. A mala pena riusciva a suonare e se il suo tocco era sublime come sempre, la potenza del suo stile (a volte, anzi spesso, diventata esagerata con il passare degli anni) era svanita. McCoy provava a suonare se stesso con un gruppo di partner che si assumevano tutto il peso della performance, lasciandogli brevi sprazzi in un set dalla brevità assoluta. Quell’esibizione sofferta, con il suo arrivo sul palco aiutato da un paio di partner aveva un contenuto drammatico anche perchè era l’unico modo che aveva il grande pianista per finanziarsi, l’esibizione di se stesso a favore della memoria del suo pubblico. E quella serata ha stimolato anche la mia, di memoria. McCoy Tyner è stato uno dei miei jazzisti preferiti, parlo degli anni della scoperta, giovanissimo al fianco di John Coltrane. Quel magico arpeggio in My Favorite things ce l’ho scolpito nellla mia testa, come i suoi tanti assoli in quei rapidi anni di una delle più emozionanti formazioni della musica del Novecento, sostenuta dal terremoto ritmico generato da Elvin Jones. L’ho seguito nei suoi primi dischi, eleganti, morbidissimi, sofisticati. Il suo stile era leggero e modernissimo evoluzione del pianismo jazzistico destinata a influenzare una larghissima generazione di specialisti. Nel jazz c’è stata una generazione McCoy.Poi l’ho visto tante volte. Ricordo le torrenziali serate al Music Inn con i suoi gruppi incandescenti, ricerca mai ultimata di ricreare attorno a se il fuoco degli anni entusiasmanti al fianco di John Coltrane, il suo amatissimo scopritore. Il suo stile con gli anni era cambiato, era diventato ossessivo, a tratti pesante, con quella mano destra che picchiava la tastiera, un furore mai sopito che solo a tratti riusciva a distendersi. Ora che se ne è andato, ultimo sopravvissuto di quel grande quartetto, con John, Jimmy Garrison e Elvin Jones che ha sconvolto il jazz, non resta che ascoltare quello che ha lasciato, pietre davvero miliari: da My Favourite things, al primo Live at the Village Vanguard, a Impressions, al magnifico Ballads, al potente Love supreme. McCoy, per fortuna, non è morto, suona ancora per noi.