CORONAVIRUS. FORSE I SUDCOREANI POSSONO INSEGNARCI QUALCOSA

CORONAVIRUS. FORSE I SUDCOREANI POSSONO INSEGNARCI QUALCOSA

In fondo anche queste sono soddisfazioni. Dicono che ci stiamo comportando bene e che siamo da esempio per quei paesi che sono già sulla pista di decollo e che magari tra 7/8 giorni arriveranno al nostro numero di contagiati.   Noi invece diciamo che possiamo fare riferimento ad un solo esempio che ci ha preceduto. La Cina. Se loro hanno blindato una città di 11 milioni di abitanti e una regione di 58 milioni (Hubei = Italia, quanto a dimensioni), introducendo controlli draconiani anche nel resto del paese (1 miliardo e 300 milione di persone) non ci resta che fare altrettanto e col pacchetto di misure di stanotte ci andiamo molto vicini. La Cina, paese cavia per l’Italia. L’Italia, paese cavia per l’Europa. Esemplari ma sia noi che loro ne avremmo fatto a meno. Stranamente però nessuno cita un altro paese, la Corea del Sud, che prima di noi ha cominciato a subire il contagio, ma che noi, nel corso del tempo, abbiamo largamente superato, quanto a numero di contagiati. No, loro a differenza della Cina non ne sono fuori. Il numero dei contagi ha subito una notevole frenata ma emette ancora qualche sussulto, Si tratta però di sobbalzi contenuti tra i cento e i trecento contagiati al giorno, che per un paese di 51 milioni di abitanti non costituisce qualcosa di particolarmente allarmante. Soprattutto quando si pensi che pochi giorni fa marciavano verso numeri di crescita giornaliera a quattro cifre, dell’ordine di quelle che registriamo adesso in Italia. Noi allora eravamo sotto di loro di 2000 unità di contagio. Oggi li possiamo soltanto invidiare. Cosa è successo? Come hanno fatto? Da 7.100 sono passati a 7.700, mentre noi da 5.900 srrivavamo a 12.400. A dire il vero fin dall’inizio c’era qualcosa in cui li superavamo. Il numero dei decessi. Ma gli esperti ci spiegavano, cifre alla mano, che ciò era dovuto al fatto che i coreani, come i cinesi, sono un popolo giovane, noi un popolo vecchio e quindi un italiano vecchio ha molte più probabilità di lasciarci la pelle di un coreano giovane. Tutto chiaro. Meno chiaro quando noi li abbiamo sorpassati in tromba nel numero dei contagiati. Da nessuna parte è scritto che un giovane sia così tanto meno contagiabile di un vecchio. E poi, se così fosse stato, come mai i sudcoreani fino a quando erano sotto quota settemila erano contagiabili più di noi e poi lo sono diventati di meno? Ipotesi inquietante: il virus, allontanandosi dall’Asia ha subito una mutuazione che lo ha reso più virulento. Gli scienziati smentiscono categoricamente. Mutuazioni sì, ma di scarso conto. Altra ipotesi: i sudcoreani hanno fatto come i cinesi. Un po’ dura da ammettere per chi non ha fatto altro che dirci che i cinesi si difendono meglio perché vivono sotto una dittatura e quindi se disubbidiscono ci lasciano la pelle. Vero che la pena di morte in Cina  esiste (come negli Usa), ma il Sud Corea non è mica in mano ai feroci comunisti. Quindi come si sarebbe fatto ad ottenere rapidamente un’ubbidienza assoluta? Infine, soprattutto, a quanto risulta i controlli effettuati dal governo sui cittadini, pur se severi, non sono stati confrontabili con quelli adottati da Pechino. Non ci resta che andare a vedere cosa è successo a distanza ravvicinata. Potremo dunque seguire quell’esempio e replicarne l’efficacia (almeno finora)? La scienza cosa può imparare a Seul? L’unico che abbia provato a capirci seriamente qualcosa è stato Stefano Carrer sul Sole 24 ore. Vediamo cosa dice, ma senza farci eccessive illusioni. Molti interrogativi rimarranno aperti, così come sono rimasti per i grandi esperti dell’epidemiologia. Una scienza che rimane probabilistica. Non è giusto prendersela con loro se non ci azzeccano, così come nessuno se l’è presa cogli esperti di calcio che non hanno previsto la vittoria del Genoa a Milano. La palla è rotonda. Il virus è pure micriscopico. Veniamo alle cose concrete. Toccando ferro con gli amici asiatici, visto che i loro esperti temono la possibilità dell’affermarsi di nuovi focolai di infezioni al di là delle due aree più colpite (Daegu e la limitrofa provincia di North Gyeongsang). Tre i punti di forza. Rispetto delle misure governative; stigmatizzazione dei devianti, ruolo delle tecnologie. File kilometriche e ordinate per acquistare le mascherine, senza nel frattempo farsi contagiare dal vicino; scenari difficili da immaginare nell’Italia dell’assalto ai supermercati. Decretazione poi della morte civile per chi viene ritenuto origine e propagatore del virus o ne segua l’esempio. Il tutto però su di una base di razionalità che è ben lontana dalla caccia all’untore. Semplicemente gli appartenenti alla setta che ha diffuso il virus, partecipando ad incontri oceanici di fedeli più o meno inquinati, d’ora in avanti se la vedranno brutta, socialmente parlando. Chi ne volesse seguire anche minimamente l’esempio sa che cosa l’aspetta. Se non il carcere qualcosa di peggio come la morte civile. Infine le tecnologie. Non solo 200mila membri della setta sono stati sottoposti a test (si vede che ne sono provvisti a iosa). L’esercito è stato mobilitato in attività di sanificazione. Importanti poi le app. La app Corona 100m informa l’utente che si avvicina a 100 metri di distanza da luoghi frequentati da persone infettate, mentre Corona Map informa sulle aree da evitare. Inoltre, mentre noi abbiamo intimato il tutti a casa, loro hanno istituito luoghi di “drive thru” in cui l’automobilista, senza scendere dall’auto, si sottopone a un esame con un responso dopo 10 minuti. Un colpo di freno qua, un provvedimento là e pare che le cose finora abbiano funzionato. Forse perché si era partiti al momento giusto. Purtroppo per noi la freccia del tempo scorre in una sola direzione. Ai tempi più stretti sarà necessario supplire con misure più dure. Il senso del rispetto verso le istituzioni lo impareremo solo nei secoli futuri. Il controllo sociale di chi viola le norme non è nel nostro dna.  Però qualche pensierino in più all’uso delle nuove tecnologie, che non sia solo smart working, forse siamo in tempo a farglielo pure noi.