ANDRÀ TUTTO BENE, ADESSO… E FINO A POCHI GIORNI FA?
È che non lo so, forse il trascorrere del tempo rende cinici, oppure invece aiuta a vedere meglio ciò che si nega anche a se stessi pur di andare avanti in un mondo sempre più egoista.Ti svegli in un clima surreale, un silenzio assurdo che ti fa capire che c’è qualcosa che non va, e quel qualcosa non è una cosa a caso, ma si tratta della vita, quella altrui ed anche la tua.I suoni che riempiono questo silenzio sono quelli relativi alle sirene delle ambulanze.Le macchine sono lì, ferme sui parcheggi che le ospitano.Gli unici a stare «bene» sono i piccioni che volano incuranti alla ricerca di cibo, e le piante con le gemme che attendono qualche raggio di sole in più per dischiudersi. È come se si stessero giustamente riprendendo il loro spazio, quello che noi «umani» gli abbiamo distrutto.I pochi negozi aperti, vedono in fila gli acquirenti, quelli più giovani perché le persone anziane si cerca di tenerle il più possibile in casa.I discorsi che riempiono le stanze di casa vertono tutte su un tema, la preoccupazione cresce insieme al numero dei decessi che avvengono con il coronavirus e non per il coronavirus.Non so, pare che stiamo prendendo coscienza solo ora di quante persone in Italia, in un giorno qualunque, di un mese qualunque, cessino di respirare, di vivere.Siamo sempre troppo presi, corriamo verso non si sa bene chi o cosa, ci avventuriamo in percorsi che richiedono sacrificio ed impegno e quando ce ne rendiamo conto… demandiamo perché c’è sempre un «coglione empatico» che farà per noi ciò che avremmo dovuto fare noi.Ci incavoliamo come bestie quando ci rendiamo conto che il numero dei medici di famiglia diminuisce vorticosamente e non vengono riempiti da altri medici quei posti.Così, anziani, disabili, invalidi, per ricevere una visita medica devono spostarsi nel paese che dista chilometri dalla loro residenza, come se fosse facile, come se fosse niente.Ma noi siamo forti, non ci ammaliamo, non protestiamo e tutto va avanti così, salvo poi lamentarci quando la situazione nefasta, con tutta la sua prepotenza, arriva e guarda un po’: riguarda tutti noi.Facciamo fatica a capire di poter essere mine vaganti, di poter contagiare altri ed allora: tutti a prendere d’assalto i supermercati, guai a restare senza cibo, tutti a distanziare di almeno un metro, altri esseri umani che teniamo distanti da una vita, rinchiusi come siamo nel nosto castello di benessere individuale.Chi si è mai posto fino in fondo il problema di cosa voglia dire non avere una casa, braccia che ti confortano, occhi che ti guardano ma non solo in superficie. Chi si è posto fino in fondo questo problema? In pochissimi e si sono dati da fare per aiutare, gli altri hanno guardato ed hanno visto solo un «barbone», non ciò che ci sta dietro.Lamantele circa il lavoro che svolgiamo, spesso in comodi e caldi uffici, con il collega leccaculo che fa carriera e chi arranca per tenere botta e non deludere l’utile di fine anno.Abituati, per ricevere il premio aziendale ad andare a lavorare anche con il mega raffreddore o con l’influenza, così «impestiamo» gli altri e ci mostriamo servi indefessi noi.Il capo gongola tronfio, l’ufficio è raso al suolo.Il corretto ammalato, lo scorretto osannato.Ecco forse bisognerebbe partire da qui, dal cambiare seriamente il senso civile e questi regolamenti sgangherti che premiano chi si lamenta alle spalle salvo poi l’indegno spettacolo dello scodinzolamento a cui ci fa assistere ogni giorno.Cori, canzoni, incipit, luci e candele accese, slogan e altri show che per molti hanno significato, mentre altri in effetti neanche lo sanno come si chiama il vicino di casa, quello osservato ogni giorno ma mai coinvolto oltre un freddo buongiorno.E dopo? Dopo questo andrà tutto bene resterà qualcosa di tutto ciò? Diventeremo o resteremo ancora empatici? Daremo una mano ai pronto soccorsi senza intasarli per ogni stupida cavolata? Penseremo mai a cosa voglia dire svolgere un lavoro che non ti fa conoscere sosta e ti dà pochissimo tempo libero?Finirà tutto con una cantata sul balcone, oppure c’è la concreta speranza che qualcosa cambi realmente nelle nostre coscienze individuali?Per ora è così: un piovoso e grigio sabato mattina, dove il vuoto è davvero vuoto e sul cellulare qualcuno continua ad inviare quei video cretini che cancello all’istante, o quegli audio che non hanno fonte certa e creano allarmismo, di cui non abbiamo bisogno.E non mi venite a dire che accade per sdrammatizzare, perché va bene uno ma quando la massa è così, viene da pensare a quanto davvero ci sia da fare.Quello che mi fa incazzare è che a causa di questi frustrati e sterili contributi non richiesti, a farne le spese, siano poi persone che non sono affatto né insensibili e tantomeno superficiali, al punto che hanno smesso, pur stando fortunatamente bene, già da molti giorni di andare in giro. Lo fanno anche per persone così: vuote, lamentose e squallide fino alla fine, speriamo fino alla fine del virus, non la nostra!
