IL DECOVIDONE

IL DECOVIDONE

di Nedo da Terranuova detto “Il Bronzaccio” Continua e finisce il libro chiamato DECOVIDON,nel quale si contengono sette novelle raccontate da quattro ragazze e tre giovani uomini. (Le giornate dalla Domenica al Mercoledì sono state pubblicate i giorni precedenti di questa settimana) “Di come un frate del Tasso non si fece ingannare dal contadino che si credeva furbo” Al Tasso, piccola Frazione del comune di Terranuova, c’era una Frate di nome Checco a cui piaceva allevare polli, conigli e piccioni. Fra’ Checco in effetti aveva i più bei esemplari della zona. Nei giorni della festa del Perdono portava sempre i galletti più belli alla mostra degli animali vincendomolti premi. Un contadino di Montemarciano andò un giorno trovarlo. Era Enea di’Botta, un taccagno che faceva sempre tutto a suo favore, trattava male e cercava sempre di fregare il prossimo. Enea disse al Frate – “Oh Checco ma che me lo vendi un gallo che ho bisogno di far fare un po’ d’ova alle mi galline?” “Si può vedere” – rispose il Frate – “ma guarda che un’costano poco” “O quanto tu voi?” – domandò spavaldo Enea. “Guarda, come minimo ci vogliono cento euro” – gli rispose il frate. Enea ci rimase male, stette zitto rimuginando un minuto e poi rispose – “Bene torno domani e ti porto i soldi” Il giorno dopo ritornò e con sorrisetto furbo disse: – “Fra’ Checco, accidenti a te, ecco due pezzi da cinquanta e dammi un bell’esemplare” Il Frate prese i soldi, li contò e andò nel pollaio. Tornò con un bell’animale grosso e candido. Enea lo salutò prese l’animale, tornò a Montemarciano e lo mise nel suo pollaio. Dopo qualche settimana però’ ritornò al Tasso da Frate Checco. Aveva il bell’animale sottobraccio e il volto adombrato si rivolse al frate protestando: – “Oh Checco ma icché tu m’ha dato, le mi’ galline un’ fanno neanche un ovo” Fra’ Checco lo guardò mettendo le mani sui fianchi – “Oh Enea, ma chi credevi di imbrogliare? Te tu m’ha dato du’pezzi falsi e io t’ho dato un galletto falso e siamo pari” Enea tutto rosso per la vergogna restituì la bella gallina e se ne andò per non tornare più. “Di quando si decise di costruire i gabinetti pubblici con le lapidi del cimitero” Accadde che la giunta Comunale decidesse, finalmente, di risolvere un problema annoso che esisteva nel paese. Sia i rappresentanti della maggioranza che dell’opposizione erano stati sollecitati dai cittadini alla costruzione di un vespasiano nel centro della città. Si insomma, un pisciatoio. Davanti all’edicola di piazza c’era sempre un gruppo di pensionati a discutere di tutto: del tempo, della politica, delle donne, dello sport. Quando invece fervevano dei lavori pubblici si riunivano intorno al cantiere. Attenti osservatori dell’andamento delle ristrutturazioni non mancavano di dare consigli e rettifiche ai poveri operai, criticando quasi sempre il compimento delle opere. Nel trascorrere però quelle ore di ozio, dato l’avanzare dell’età, la loro prostata non era esente da qualche problema e l’impellente necessità di svuotare la vescica non poteva che essere soddisfatta nei vari bar vicini. Gli inconvenienti erano molti: il primo per loro perché a furia di prendere caffè gli si alzava la pressione; il secondo era che i proprietari dei bar finivanoalla fine per avere la fila al gabinetto e gli toccasse in continuazione pulire la mancanza di “mira” dei vecchietti che, data l’età e spesso una bella pancia, mal riuscivano a gestire “l’attrezzo”. Fu da qui che il punto del gabinetto divenne una richiesta “elettorale” portatrice dei molti voti dei pensionati interessati. Venne quindiespropriato un vecchio fondo inutilizzato da tempo, vicino alla chiesa del paese e i lavori iniziarono. Successe però che tirate le somme necessarie alla costruzione, il Ragioniere del Comune si recasse da Sindaco e sentenziasse – “Mi spiace Sindaco ma i soldi per questo lavoro non erano stati previsti nel bilancio e di fondi ne rimangono ben pochi” Il Sindaco, che aveva promesso di fare quell’ intervento proprio per essere rieletto, convocò l’assessore ai lavori pubblici – “Oh Maurino” – gli disse – “ tu mi devi trovare i’vverso di fare questo pisciatoio e spendere poco”. “Ma come si fa?” – gli replicò disperato l’assessore – “risolvi il problema, o che t’ho fatto assessore a fare!” Maurino delle Ville incomincò a rimuginare e pensa che ti ripensa, gli venne la soluzione in mente. In quei giorni, dal cimitero di Castiglion Ubertini frazione di Terranuova, si stavano togliendo delle antiche tombe. Erano tombe lasciate a se stesse, non più curate nè reclamate da alcuno. Lapidi storte e mezze interrate da decenni. L’assessore ordinò di non gettare i marmi che altrimenti sarebbero finiti in discarica. Avrebbe riutilizzato le lapidi rovesciandole, per farle divenire orinatoi pubblici e così la spesa sarebbe stata praticamente azzerata. Siccome bisognava risparmiare, il lavoro fu affidato a un solo operaio, tale Fosco di’Manetti, celebre per la sua miopia che in qualche maniera, un po’ con gli occhiali spessi un po’ senza, riuscì a concludere la costruzione. Venne il giorno dell’inaugurazione. Con tanto di banda, nastro e fascia tricolore il Sindaco fece un bel discorso davanti alla cittadinanza e proprio i pensionati in prima fila. Gino di’Tanfoni, ottacinquenne arzillo a quel punto si fece avanti e disse – “scusate ma io ho necessità e voglio essere i’pprimo”. Detto fatto entrò nella stanza si sbottonò i pantaloni, iniziò la“funzione” con il volto rilassato e calando gli occhi sul marmo dove l’agognato zampillo finiva rimase di stucco. A grandi lettere incise si leggeva “Finisce, come uccello che al fin non s’alza più. Spargete dunque lacrime di dolore” “Vai!” disse Gino ad alta voce “M’hanno riconosciuto anche qui”. “Di quella volta che una coppia in calo di desiderio fece di tutto per riaccendere la passione” Giacomo e Stefania erano una coppia che si amava da tempo. Si volevano bene e avevano due splendidi figli. Si erano sposati più di venti anni prima etrascorrevano una vita tranquilla, semplice e senza scossoni. Forse troppo tranquilla, tanto che da qualche tempo, il loro rapporto stava divenendo una routine. Stefania non aveva coraggio di parlarne ma la noia regnava spesso nelle loro serate. Per non parlare delle notti. L’amore,in realtà, c’era, ma fisicamente le cose erano da molti mesi assai diverse. Il sesso, insomma, era divenuto una cosa rara. Pochissime volte in un mese, una o due al massimo, e quelle volte che accadeva, per tutti e due era un’esperienza veloce e priva di soddisfazione. Facevano l’amore più per dovere e la cosa stava divenendo sempre più pesante, tanto da iniziare a incrinare la loro relazione. Stefania in verità era ancora molto bella e desiderabile e anche Giacomoera un bell’uomo, prestante. Ma la scintilla che faceva accendere le loro serate sembrava che si fosse spenta. Eppure la loro passione era stata vulcanica, anni prima facevano l’amore dappertutto. Ma ora tutto era cambiato. Giacomo diventava ogni giorno più triste e scostante, Stefania era quella che ne soffriva di più e qualche volta di nascosto ne piangeva. Stefania decise che il loro matrimonio non poteva naufragare così e decise di fare qualcosa. Si ricordò di Maria, la sua amica del cuore, alla quale un tempo confidava tutto. Maria era una donna che aveva girato il mondo, aveva avuto molti uomini e sicuramente l’avrebbe consigliata. Le telefonò e le disse che aveva bisogno di lei. Maria fu felicissima di risentire l’amica e curiosissima accettò di incontrarla. Si incontrarono a Firenze, si abbracciarono e iniziarono a raccontarsi delle loro vite, finchè non si arrivò al punto cruciale. Con lo sguardo abbassato e un pò di vergogna Stefania riuscì a narrare l suo cruccio, in tutti i particolari, di come prima faceva l’amore con il marito e di come lo faceva oggi. Si sfogò e pianse molto abbracciando l’amica. Maria la consolò e le disse: “Stefania il vostro amore ha raggiunto il punto in cui conoscete tutto di voi, non avete più stimoli audaci, insomma, piccanti che risveglino il desiderio. Dovete trovare nuovi spunti, fare qualcosa di nuovo, guarda io te lo dico con sincerità, cercate qualche coppia, vincete la vergogna e fate del sesso con loro. Vedrai che funziona” Stefania non credeva ai propri orecchi, le rispose che non sarebbe mai riuscita a farlo, ma che la ringraziava lo stesso. Tornò a casa, rassegnata a quella vita e continuò i giorni come prima. Le cose però peggiorarono al punto che una sera affrontò il problema con Giacomo. “Così non possiamo andare avanti, finiremo per lasciarci” disse alla fine Stefania -“Hai ragione” – ammise il marito “ma che potremmo fare? Io per salvare il nostro amore sono disposto a tutto.” A quel punto Stefania raccontò a Giacomo quello che le aveva suggerito l’amica. L’uomo restò perplesso e disse che non era una cosa da fare, però ci avrebbe pensato. Passò ancora un po’ di tempo e una sera i due si guardarono negli occhi e insieme dissero: “facciamolo!”. Con tanta vergogna e l’aiuto di internet trovarono un sito che pubblicizzava in bella vista proprio quella cosa. Presero il coraggio a quattro mani e si recarono dove si sarebbe svolto l’incontro con altra gente. C’erano delle regole particolari, avrebbero dovuto indossare una maschera sul volto e tutto si doveva svolgere in una penombra intensa, in modo da non svelare l’identità di chi si aveva davanti. La serata iniziò incerta, c’erano in effetti molte coppie e qualche bicchiere incoraggiante, le persone cominciarono ad avvicinarsi e con la scusa di un ballo i due coniugi si separarono. La musica divenne inebriante e, con i liquori bevuti, molto di più lo divenne la situazione. I balli cambiavano in continuazione con essi i partner. Giacomo si trovò abbracciato a donne molto belle sempre più svestite, mentre Stefania passò da un ballerino ad un altro i cui gesti divennero sempre più audaci e si trovò ad un tratto con la sola biancheria intima e la maschera. In effetti l’eccitazione era alle stelle. Tutti e due stavano rivivendo le cose che provavano tanti anni fa. Le coppie iniziarono ad appartarsi e a fare l’amore. Anche Stefania e Giacomo alla fine si trovarono con uomo e una donna molto eccitati. Furono rapporti intensi, appaganti, lussuriosi, con persone che la maschere e l’oscurità celavano alla loro vista. Alla fine rimasero sfiniti ma la voglia era di cercarsi per raccontarsi quello che era accaduto. Stefania fu presa per mano dal suo uomo, ugualmente Giacomo dalla propria donna. Con quegli amanti di una sera entrarono nei bagni per darsi una rinfrescata.Alla luce vivida degli specchi i due ebbero un pò di vergogna, lei in lingerie sexy, lui con gli slip nuovi comprati con Stefania per l’occasione. Fu Stefania vedendo quelle mutande e riconoscendoleesclamò – “Giacomo” – quasi urlando. L’uomo si tolse la maschera e con un gesto veloce la tolse anche alla bella donna che aveva davanti e con cui aveva fatto quell’amore folle. Era proprio di Stefania quel bellissimo corpo, ancora caldo dell’amore di prima. Gira e rigira, avevano finito di fare del sesso proprio fra di loro. Iniziarono a ridere e si abbracciarono e si baciarono a lungo. Compresero quindi che l’Amore c’era e c’era anche il desiderio, capirono che era una questione di testa perchè loro si piacevano e ancora erano in grado di provare una grande passione. Ripresero la macchina e nella notte tornarono verso casa, ridendo e raccontandosi la serata. C’è chi dice che si siano fermati più volte per la strada e come da giovanissimi fidanzati si siano amati in macchina, di un amore travolgente.