IL SOGNO NUOTATORE

IL SOGNO NUOTATORE

Ho scritto tanto di viaggi, viaggiando. Ma ho sempre detto che ogni vero viaggio incomincia dentro di noi più che sulla strada, come Melville fa dire a Ismaelenella prima pagina di Moby Dick, “ogniqualvolta giunge sull’anima mia un umido e piovoso novembre”. Cosa c’è di più simile, allora, di questa umida e pandemica giornata di metà marzo? Quale migliore occasione per fuggire con la mente? Ecco, mi è capitato dunque rimettendo a posto carte e file, di trovare una fuga, in mare stavolta e non in motocicletta, e di copiarla qui. Un vecchio sogno… Il sogno nuotatoreIl freddo si presentò con una visita anzitempo. “Attento brucio” disse prendendo in giro il calendario. Settembre, ancora estate. La pelle segnata dalle carezze onnivore del sole. La testa e i ricordi intrisi di mare. Intanto a Carloforte l’esperienza faceva trasmigrare i fenicotteri in Tunisia e i pescatori si spogliavano degli abiti della nuova economia. Da operatori turistici tornavano a pensare all’assegno da dare ai figli fuorisede. Le case chiudevano ad una ad una le finestre come palpebre vinte dal letargo. E le statue pompeiane, chiuse le imposte, ridiventavano fossili gessosi nel buio della stanza bomboniera. Nulla più da guardare fino al prossimo luglio, il grande letto d’amanti ricoperto da un telo di cotone. Anche le scogliere di Masua cambiavano d’aspetto: da balcone sul mare a sentinelle, con la torre saracena di nuovo nel suo ruolo: “Vedo vedo fra le nebbie, lontano…”… navi-lavoro, navi mercantili, o navi pendolari. Senza suggestioni, prive di sogni come di gabbiani, sulle autostrade dei trasporti Genova-Porto Torres-Cagliari-Palermo. Via da Sant’Antioco, via dalla Maddalena. Cala Gonone una discesa sul nulla. Dorgali un pugno di pastori.Eppure un sogno aveva perso il suo appuntamento. Biglietto di ritorno smarrito, soldi in tasca terminati con l’ultimo pacchetto di Philip Morris blu, s’era fatto passare il tempo addosso bloccato dal miraggio della casa-faro. Quando era arrivato lì la prima volta, sospeso sull’approdo delle tonnare e incantato da un sorriso, gli era stato facile disciogliersi nell’acqua. Il sogno, sostanza solubile nel futuro, inganno sahariano, passo dopo passo e poi a nuoto, col ritmo delle braccia e del respiro, s’era spinto verso quel sole che tramontava in Spagna, legato con un elastico allo scoglio nero e pieno di patelle del suo tuffo. Avrebbe voluto che fosse una fune, o meglio un cavo ritorto di fili d’acciaio. E con tre eliche potenti e un gran ribollio di spuma avrebbe trascinato tutto, come la zattera di un naufragio a lieto fine, verso il nuovo mondo. “Dove?”. “Non so. Dove decidiamo noi”. Ed era andato. Blu e gorgoglìo di bolle bianche, di aria trascinata dal mulinare delle braccia sotto la pelle del Tirreno. Solletico sul vetro del destino, a meno di non essere artigiani di Murano e saper rendere flessibili come plastilina anche le rigidità più dure e sorprendenti di fratture.Ma lui era un sogno e a ciò non ci pensava. Andava, andava mentre le ore, rimaste a terra, facevano e disfacevano ruffiane. Mentre i giorni macinavano farina di minuti e gli istanti, fini, si impastavano nella confezione del tempo delle cose. Giù, nel mare, la luce entrava a raggi indefiniti, carezzando nel pulviscolo della loro sfumatura le note di una vecchia canzone di Luigi Tenco: “Vedrai vedrai, non è finita sai…”. E lo scoglio diventava sempre più lontano. “Anche se non è domani, tu vedrai che cambierà…”. E il domani era lì, dopo l’ultima bracciata, dopo l’ultimo mistero del nero che diventando blu e poi azzurro fluido si faceva raggiungere e penetrare dalla carezza del sogno nuotatore. Per ripresentarsi più avanti, incessante nel suo incantesimo sempre a portata di mano e sempre fuggitivo, come una sirena. Intanto la casa-faro diventava un punto, una irregolarità sulla linea dell’orizzonte, poi più nulla, appiattita dalla lontananza, risucchiata da quel tutto senza identità che solo gli astronauti, sospesi sulla terra, riescono a capire tornando dalla luna. Palla, palla immensa e sperduta, senza un segno di noi.Ma il sogno nuotava sulla rotta di Barcellona e delle spiagge catalane. Soprattutto nuotava con se stesso. Tum, tum, tum. Ormai il cuore era un orologio, con la cadenza pesante del pendolo, con la regolarità d’un bastimento da crociera. Un rumore interno, la stereofonia perfetta d’un suono intimo, sotterraneo ai timpani, estraneo alle membrane. Tum, tum, tum. Un’armonia che lo sposava con il respiro delle onde. E con un bagliore argenteo che all’improvviso si annunciò col brivido di una corrente amica, confluente, quasi una spinta alla sua fatica. Il sogno nuotatore s’accorse così di non esser solo: accanto a lui, filante, c’era un tonno.Compagnia binaria, chissà se anche il grande pesce argenteo fosse diretto, a sua volta, verso la meta sfrangiata e irrisolta di un perché. Chissà se la sua esca sarebbe stata una risposta. Comunque stava lì, accanto a lui, affiatato in ogni movimento. Talvolta capita di intendersi oltre le parole. Più spesso, invece, contro le parole per intendersi si frantuma ogni possibilità di comprensione. Il sogno, dal canto suo, era sicuro che l’elastico che lo legava allo scoglio nero del tuffo a Carloforte fosse quanto meno una scommessa su cui puntare impegno e azzardo, con la speranza di trovare al termine del suo viaggio l’Atlantide delle risposte senza alcuna domanda. Il punto di fusione fra luce, tempo e materia. E l’acqua era l’amnios del tutto.Era in forse, già da parecchie miglia e miglia, se fosse il tonno a guidare la navigazione o se, al contrario, anche il pesce sognasse. Non lo sapremo mai, anche se i Sapienti attribuiscono alla non-conoscenza ben più possibilità di capire l’universo di quanto non ne abbia uno scienziato. Fatto sta che nel blu del mare, in lontananza, con la consistenza tremula d’un qualcosa che all’inizio non si sa se è un’illusione, parve apparire un non so che di trascolorante in bianco, ovvero una massa ferma e calma che rimbalzava il suo colore attorno, diffondendo verde cristallino nell’aura acquatica che circondava il suo profilo. Un qualcosa che sembrava un iceberg sommerso ma che, man mano che il sogno si approssimava ad essa, svelava una perfezione fuori luogo: nulla di marino, piuttosto una natura astrale. I fianchi, lisci come il cristallo, erano liberi da alghe e concrezioni. La base era invisibile, sprofondata nell’humus dei fondali. La parte alta del solido aveva una forma apicale, come se volesse uscire dall’acqua per puntare al cielo. Astronave dormiente ma piena di intenzioni, energia nascosta nella pancia liquida del mondo. Il sogno nuotatore si avvicinò verso quella punta perfetta ma non cattiva, isoscele anche nelle intenzioni, acuta per intelligenza e non per minaccia. Giusta, calma, dominante come una madre.Il tonno lo seguì. E insieme nuotarono verso la cuspide del mondo, fino ad esserle sopra, allo zenith, trapassati da un raggio immaginario, un laser, che diretto verso il cielo racchiudeva l’energia raccolta da quel solido perfetto e tranquillo dalla terra sommersa su cui distendeva la sua base. Sì, da quella sospensione totale lo si vedeva bene: era una piramide. Un punto interrogativo senza ansia, una pila atomica dormiente e in attesa di un padrone. Il sogno nuotatore rimase lì incantato, lasciando scorrere il suo sguardo sui fianchi ripidi, solenni e levigati, pieni di passato e di futuro che si perdevano negli abissi. Ed ebbe certo, ad un tratto, di trovarsi nel luogo mistico di una convergenza: dal buio alla luce, dal tanto al poco, a un punto, solido come il nucleo d’un atomo di diamante, carico di possibilità come l’infinito, ma ancora chiuso come ciò che non è mai stato. Il sogno, allora, allungò una mano come se capisse che doveva farlo. Con un piccolo colpo di reni inarcò il corpo, si avvitò nell’acqua con il palmo della sinistra che si riempiva del velluto vibrante della carezza del mare, spinse con le gambe a rana, per poi affiancare i piedi come un fuso e, dopo un breve segmento di discesa sulla verticale lungo quanto i viaggi e i sentimenti del mondo, con l’indice della destra toccò quella punta che riuniva il tutto.Non so se possa succedere che un sogno si metta a sognare, che dentro di sé possa contenere la fantasia della fantasia, la contraddizione della realtà già contraddetta, la liberazione della libertà. Fatto sta che tutto questo avvenne. Il tonno stava lì, a mezz’acqua, argenteo come una luna pisciforme. Un ex-voto che tributava gratitudine a tutto il mare, oceani compresi, dalle icone dei fiordi agli acquari corallini dell’oriente. E il sogno nuotatore lassù, nano ma assoluto prolungamento del prisma poderoso, sognò di poter volare, di levitare e di librarsi spinto da una invisibile energia, una morbida forza gravitazionale all’incontrario, e di poter vedere il mondo fuori dall’aria e dai sentimenti. Sognò di poter capire tutti i perché, i ma e i se. Sognò il tramonto di tutti i dubbi e di ogni diffidenza, e vide l’alba di inimmaginabili certezze. Tutto, ai suoi occhi, apparve in armonia, con il vento che si legava alle nuvole, e la pioggia alla terra, e la notte al giorno. E capì che ogni fine è un gesto di gentilezza del destino verso il nuovo che ne prende il posto, come un frutto che cade per lasciare spazio a un altro fiore. Un prendersi per mano. Allora il sogno nuotatore, ora volante, tornò indietro, con un lento giro d’aquilone, e riavvistate le coste dell’isola di Carloforte planò piano sullo scoglio del tuffo da cui era partito, con le braccia aperte come le ali di un gabbiano che si posa.L’ultima nave traghetto spumeggiava a nord-est verso Porto Vesme. Una busta di plastica stracciata sbandierava al vento impigliata attorno a un ramo di ginepro. Dal paese arrivava a tratti più che il suono l’odore di una musica soffusa e attaccaticcia. Si trovò a cantare: “Vedrai, vedrai…”. Ma non conosceva la canzone. Non importa. Si avviò verso casa inventandosela lui. “A volte sono solo/frammenti di sguardi/come i fiori che ti porto/sono pezzi di prato/e schegge sono le parole/e i riccioli di discorsi/ che a fatica scambiamo/fra le maglie del tempo/E lampi sono i sogni/o i desideri/che ci sfuggono nel futuro/e istante è il giorno/che dopo giorno prova/a mettere radici/Ma resta, sì resta/il pensiero/e pagina dopo pagina/si riempie la biblioteca/della nostra esistenza/e libro dopo libro/si scrivono nuovi capitoli/Fiori, sogni, parole/prati, case, stagioni/cani, parenti, persone/relazioni avute/amori perduti/politica e nuovi progetti/sotto cui accendere il fuoco/Resta il mondo da fare/restano la musica e le poesie/e resta il mare/che mi ha fatto conoscere me”.