TERRONI, CINESI, UNTORI: LA NARRAZIONE TOSSICA CI HA GIÀ CONTAGIATO TUTTI
Dunque il virus corre più veloce dello sciocchezzaio corrente, i fatti sorpassano le letture, ciò che sembrava esagerato sembra ragionevole, ciò che sembra ragionevole forse non basterà. Con una certa lentezza si aggiustano le misure. Precauzioni basilari: lavarsi le mani, incontrare meno gente possibile e dire meno cazzate. Intanto guardare e trarre qualche insegnamento dalle cose. Milano.Raccontata come una landa remota e sconosciuta (specie dai media romanocentrici), di cui si-dicono-mirabilie-ma-non-ci-vivrei, oscilla tra tempio della modernità e desolato Lazzaretto. Prima non si ferma, battendosi aperitivamente il petto (giusto! Bravi!), poi si ferma (giusto! Bravi!). Il suo destino è di essere una caricatura di se stessa, di cui non si vedono i chiaroscuri, ma solo le luci scintillanti (quando si costruisce il mito), o la composta dignità (quando le cose si mettono male), o il meritocratico (ossignùr,ndr) dinamismo. La velocità dei fatti sconfigge per una volta le narrazioni collaudate. Tra poco (giorni, settimane) verrà alla luce che la struttura del mercato del lavoro, a Milano più che altrove, poggia su un esercito poderosissimo di “cottimisti” (traduco: gente che se non lavora non mangia, letteralmente) e salteranno come tappi altre narrazioni. I supermercati.Ma guardali, che corrono a far la spesa svuotando gli scaffali! Ecco le agghiaccianti immagini. Ma sono matti? Pazzesco. Solo in Italia. Eccetera eccetera, aggiungere a piacere. Si tratta di una piccola narrazione tossica, elaborata per dire alla gente che è peggiore di quel che è veramente, una specie di denigrazione di massa. Riassumo: ti dicono che devi stare in casa, magari per giorni, lo scrivono proprio nei decreti legge, lo dicono i vip, lo ripetono in tivù, te lo consiglia il medico, ma poi ti fanno il culo perché, preoccupato, spaventato, prudente, vai a fare la spesa per stare in casa. Non sapendo contro chi suscitare indignazione, non avendo ancora individuato un capro espiatorio credibile, ecco “la massa” cattiva. Lo si registra quasi con disgusto, come a segnare una distanza tra noi ragionevoli e i buzzurri accaparratori. E poi si corre a far la spesa. I cinesi.I cinesi passano ad intervalli di tre-quattro ore da infami appestatori del mondo (dice quello là veneto coi topi vivi) ad avanguardie del contenimento e della sconfitta del virus. Sono cattivi perché chiudono tutto. Sono bravi perché costruiscono un ospedale in sei minuti. Sottrotraccia ma nemmeno tanto: qui non siamo mica in Cina, non puoi sparare alla gente se esce di casa, ma detto con un tono che sottende un certo dispiacere, un “peccato”, solo sussurrato, a portata di intuizione. Al “quando c’era lui” si sostituisce un velato “se ci fossero loro”. Quando senti dei due che per andare a sciare impestano mezza valle è un pensiero inevitabile. Poi passa (mah). Gli untori.Chi dice ventimila, chi un po’ meno, chi un po’ più, ma insomma, sono anche loro una piccola narrazione tossica. Le code alla stazione, l’assalto ai treni. Nella vulgata corrente (cito una professionista intervistata daRepubblica) chi prende su due piedi un treno per lasciare Milano è il “ragazzo del sud che non riesce a stare lontano dalla propria città quindici giorni”. Insomma, ecco creata la macchietta, che a pensarci è sempre quella: il mammone, il terrone, il choosy. Non si deve correre via da una zona infetta, d’accordo, ma qualcuno deve darti buoni motivi per rimanerci. Dunque se ne fa caricatura, un altro capro espiatorio, il che serve a costruire un disprezzo statistico per le vite delle persone, le storie, le necessità e le paure. L’intercapedine tra “Qui si mette male, se non lavoro che faccio?” e “Ecco, viziato rammollito che scappi e metti a rischio altri” è una crepa nel pavimento dove rischiamo di cadere tutti, chi più chi meno.
