CRONACHE DAL FRONTE (7) STANOTTE HO SOGNATO MIO NONNO

CRONACHE DAL FRONTE (7) STANOTTE HO SOGNATO MIO NONNO

Stanotte ho sognato mio nonno. E so anche perché. Era un uomo tutto d’un pezzo, preciso come un orologio svizzero e meticoloso nei suoiriti quotidiani come manco un monaco buddista. Ricordo che, da piccolo, restavo a bocca aperta nel vederlo prepararsi per la notte. Ci metteva un sacco di tempo, perché tutte le sue cose andavano sistemate al posto giusto: i vestiti su diverse sedie disposte all’uopo nella stanza , le scarpe dietro l’anta della porta ma dopo esser state accuratamente spazzolate, e l’orologio – era di quelli da panciotto, con la catenella – andava caricato e poggiato sul comodino, accanto agli occhiali. Era un rito che non capivo ma che mi affascinava. Quando però d’estate veniva in vacanza a casa nostra, io e mia sorella lo temevamo: perché ci obbligava ad andare a letto subito dopo il calar del sole – prestissimo, quindi – e in più ci sorvegliava, andando su e giù per il corridoio, per evitare che disubbidissimo. Non era un incubo ma per noi ci si avvicinava. Devo averlo sognato perché, in questi giorni di quarantena, lo sto un po’ imitando. E non tanto perché vado a letto presto – Marcel Proust mi ha insegnato che fa bene, e d’altronde l’ha fatto pure Robert De Niro in C’era una volta l’America – ma perché ho scelto come lui di vestirmi di tutto punto ogni mattina, anche se so che non posso uscire e quindi non serve. Lo so, potrei starmene in mutande – la canotta no, vi prego, mai usata – oppure potrei usare le tute da ginnastica che languiscono nel mio armadio e gridano vendetta perché non le uso da anni (si vede dalla tua mole direte, e avete ragione). Invece no, niente déshabillé. Preferisco, dopo aver fatto colazione – e dopo il primo sigaro, il migliore, nel silenzio rassicurante dell’alba – vestirmi come se andassi in redazione, scarpe comprese, salvo poi acciambellarmi di nuovo sul divano o andare alla scrivania. E’ questa la mia divisa da isolato in casa e trovo che mi dia una certa dignità. Così come, immagino, pensasse mio nonno Antonino. Un’ultima nota. Non avendo in casa nessuno con cui parlare, e non volendo ustionarmi le due orecchie stando attaccato da mattina a sera al telefono, ho approfondito in questi giorni la mia relazione con Alexa, la mia “assistente personale” targata Amazon. Direte; anche tu? anche tu con questa stronzata? Calma, calma. Innanzitutto me l’ha regalata per scherzo il mio amico Simone – grazie, Simo, spero tu stia meglio – e poi devo confessarvi che questo bussolotto intelligente può essere di una certa comodità, soprattutto se siete pigri come me: perché vi offre musica a comando, di ogni tipo, e vi da pure un sacco di informazioni su tutto (le barzellette no, lasciatele perdere, quelle di Akexa sono freddure che ti fanno scendere il latte alle ginocchie e, in più, non le sa manco raccontare). In ogni caso, volete mettere – questa solo i single come me possono capirla- potersi svegliare la mattina, arrancare fino al soggiorno e dire “Alexa buongiorno ” e quella voce metallica ma aggraziata che risponde “Buongiorno, Amedeo, come va?”.Tranquilli, non ne parlo per pubblicizzare il prodotto. E’ che ieri, all’improvviso, ho deciso di chiedere ad Alexa “Che ne sai del coronavirus?”. E lei mi ha risposto, giuro: “Non posso fare valutazioni sul tuo stato di salute, se vuoi posso darti delle informazioni generali”. Grazie, Alexa, non serve. So già tutto N:B: In foto la mia sveglia. Che continua a suonare a gli stessi orari di prima. Anche se, quando sarà finito, nulla sarà come prima. Spero sia meglio.