CORONAVIRUS, MENTRE L’EUROPA VA A PEZZI, ANGELA E RE FELIPE STANNO A GUARDARE
Allo scadere del contagio numero 12mila scatta il dovere di un discorso alla nazione. Ciascuno lo fa in consonanza con il suo ruolo. Paterno-regale, quello di re Felipe in una Spagna con tassi di crescita spaventosi. Materno-politico quello di Angela, più doverosamente attenta agli aspetti operativi in una pragmatica Germania. Un denominatore comune: il vuoto di idee sul come affrontare le cose. Il re demanda questo compito al governo e ai tecnici. A lui toccherebbe il dovere di tenere alto il morale delle truppe. Ma le truppe pare non ci stiano e organizzano un cacerolazo non molto distante dal Palazzo. Lui tira dritto e come un generale plaude a chi sta in prima linea, medici e personale sanitario. Ricorda non poco il grido con le quali le nostre truppe in prima linea andavano al massacro durante la prima guerra mondiale: “Avanti Savoia”, in versione borbonica. Pare peraltro che la sanità spagnola, dopo la prima sberla iniziale, abbia iniziato a reagire secondo il modello italiano. Lo speriamo vivamente per gli amici spagnoli. Dicono che prendono esempio da noi perché tutto è esploso in una Madrid che potrebbe ricordare la Lombardia e in un paesino della Catalogna di nome Igualada, che potremmo assimilare a Codogno. Sarà, ma Madrid ha una concentrazione di abitanti enormemente più alta della Lombardia. Semmai è più simile a quella Milano cui noi cerchiamo di evitare la stessa fine di Bergamo. Con la differenza, rispetto a Milano che a Madrid il nemico è già entrato nelle mura. Resta poi da definire l’effettiva dimensione dei contagi. I tamponi vengono utilizzati solo per i ricoverati? Se così fosse il dramma si accentuerebbe. Ma Felipe non si occupa di queste pinzillacchere. L’importante per lui è sostenere che il paese vincerà perché è più forte del coronavirus. Speriamo soprattutto che il cittadino medio spagnolo sia più forte del suo sire. Altra nazione altro discorso. Premettiamo che, anche quando abbiamo profondamente dissentito da lei, abbiamo quasi sempre riconosciuto ad Angela Merkel una statura politica superiore ai suoi colleghi stranieri di pari grado. Questa volta però ha volato basso. Un manualetto di pronto intervento sul modello di Amadeus. L’antidoto al coronavirus è la distanza: il mezzo che ognuno deve utilizzare contro il virus, per evitare il contagio da Covid-19. Inoltre non bisogna stringersi le mani, che invece vanno lavate a fondo e spesso. In aggiunta, evitare contatti con gli anziani, anche da parte dei nipotini, nell’interesse dei nonni. Per il resto un giusto richiamo al guadagnare tempo per diluire l’impatto del virus sulle strutture sanitarie, accompagnato però da un velleitario richiamo all’arrivo di un salvifico vaccino. Quando è noto a tutti che per il momento bisognerà accontentarsi, se va bene, dell’utilizzo di medicinali che attutiscano i sintomi riducendo il numero delle vittime. Peraltro rimangono inviolabili la libertà di viaggio e di movimento. E l’isolamento? Sono decisioni che non si prendono mai con leggerezza in una democrazia e hanno valore solo temporaneo. Attendiamo la fase attuativa. Non sarà facile trovare un compromesso tra la petizione di principio e la sua traduzione in pratica. Ulteriori suggerimenti: registrare un podcast, usare Skype, fare telefonate, inviare mail o forse anche tornare a scrivere delle lettere. Il sindacato dei postelegrafonici pare non abbia gradito. Da fare infine gli scongiuri, per i tedeschi, il parallelismo con la seconda guerra mondiale: Se ben ricordiamo non ci pare che abbia avuto un lieto fine per gli abitanti del paese. In sintesi, rispettare le regole, “il governo ne verificherà l’efficacia e opererà le necessarie correzioni dove necessario”. In parole povere, non sappiamo che fare, speriamo in bene. D’accordo, forse è stato un discorso sincero. Ma c’è modo e modo di dire le cose. L’Europa, da Madrid a Berlino, sta a guardare in preda alla paura. Se questi sono gli incoraggiamenti delle istituzioni bisognerà che ciascuno trovi in se stesso le risorse per superare il momento. Guardando negli occhi il vicino come se non fosse il nemico. Dicendo a chi è in prima linea che è soltanto grazie a lui che non ci sentiamo soli. C’era una volta l’Unione Europea, un progetto politico proiettato oltre i confini delle singole nazioni. Oggi c’è da sperare nel vicinato.
