RACCONTO. SI SA COME SONO GLI ARTISTI
“A Brenda, grazie” chiese con un bel sorriso la graziosa ragazza ultima della fila. Mario scrisse il nome sulla prima di copertina della copia del suo ultimo libro e lo restituì alla giovane ricambiando il sorriso. “Poesie a colori” l’aveva intitolato. Era una raccolta delle opere più famose che aveva creato, tutte abbinate ad una sua poesia. In verità era stata Lisa, il suo amore, musa, amministratrice, addetta alla comunicazione, artista anch’essa, a suggerire il titolo e a fare la raccolta. Mario non ce l’avrebbe fatta mai, disordinato com’era e sempre con la testa nelle nuvole. Aveva avuto sempre bisogno di qualcuno che lo tenesse con i piedi per terra e Lisa era stata la donna che c’era riuscita. Quella faticosa sera stava finendo, per fortuna. Le opere di Mario, che il Mo.Ma di New York aveva preteso, ora facevano uno strano effetto in quella enorme sala vuota. Quella che aveva destato più curiosità era stata la porta di un gabinetto, tutta dipinta con il suo stile e intitolata “Sforzi odorosi”. Comunque fosse, era stata acquistata durante l’asta on-line da un anonimo petroliere russo e i 65.000 dollari pagati erano stati ritenuti un prezzo giusto. La coppia uscì dal museo e dopo avere preso la Sixth Avenue, si incamminò dentro a Central Park. La serata tiepida e una Manhattan magica li circondavano. “Questo tour pazzesco in giro al mondo è finito finalmente” disse Mario, prendendo sottobraccio Lisa che rispose – “domattina abbiamo l’aereo e al più tardi domani saremo nella nostra Toscana”. “Quanti anni che aspetto di tornarci” sussurrò sognante Mario, “compreremo una casa nel paese dove sono nato e sarà il nostro rifugio per i prossimi anni”. Lisa sapeva del desiderio più grande di suo marito, lo baciò dolcemente e con quel gesto manifestò la sua condivisione. Due giorni dopo erano nel piccolo paese, nel cuore della toscana ai piedi del Pratomagno. Avevano preso in affitto un piccolo appartamento in un B & B perché Mario voleva subito mettersi in moto per acquistare quella che sarebbe stata la loro casa in Italia. Entrò nell’agenzia immobiliare del centro. Conosceva bene il titolare. Si chiamava Andrea e veniva da generazioni di mediatori. Andrea lo abbracciò e insieme cominciarono a sfogliare le proposte. Nel pomeriggio iniziarono a visitare vari immobili. In campagna e in periferia e continuarono tutta la settimana ma nessuno soddisfaceva Mario. Tornavano tutte le sere in agenzia e si mettevano a sfogliare altre occasioni. Lisa una sera si accorse che Andrea saltava accuratamente una delle proposte. Curiosa gli fermò la mano “scusa Andrea ma questa perchè non ce la fai vedere?”. “Mah, questo è un vecchio appartamento in centro, sono anni che è in vendita, anzi decenni. Mio nonno Marino addirittura, molto più bravo di me in questo lavoro, non riuscì mai a venderlo. Non l’ha mai voluto nessuno.” “Fammelo vedere” si incuriosì Mario e sfogliò le vecchie foto un pò ingiallite e lesse accuratamente la descrizione. Alla fine esclamò “ma è quello che cercavo, una casa del 1400. I tempi di Poggio segretario di Bonifacio IX e altri quattro Papi, lo scrittore della Facezie. Andiamo a vederla” “Chissà dove saranno le chiavi, le dovrò cercare fra quelle vecchie delle case invendute, datemi tempo e domattina andremo a visitarla” così li salutò il giovane mediatore. La mattina dopo si trovarono nella piazza principale del paese, presero un caffè e si incamminarono verso un angolo recondito del paese. Arrivarono alla porta della casa. Si trattava di una costruzione antica, si vedeva da fuori e le iscrizioni latine sull’antico arco dell’ingresso lo confermavano. L’anno si leggeva ancora, 1483. Mario era come un bambino davanti a una torta di cioccolata. Andrea estrasse una chiave antica come la pesante porta che doveva aprire. La serratura oppose un pò di resistenza ma dopo qualche scatto arrugginito si aprì. La polvere e le ragnatele rivelarono in effetti che da tempo nessuno era entrato in quella casa. Era buio dentro; “la luce non funziona” disse Lisa scostando le ragnatele posatesi su un vecchio interruttore, Mario intanto era già salito al piano di sopra e stava aprendo le finestre rimaste chiuse da troppo tempo. Girarono tutte le stanze. Le pietre, i travicelli, il camino, l’antica cucina in muratura, addirittura un pozzo interno; tutto affascinò Mario. “E’ stupenda” disse ad Andrea “la rimettermo e diverrà meravigliosa”. Mentre Mario scendeva e saliva le scale Lisa si affacciò alla finestra di cucina al piano terra. Dava su un vicolo al lato della strada dell’ingresso. Una voce potente e roca, che riecheggiò nel vicolo vuoto, la fece sobbalzare. Era un uomo alto, nascosto nell’ombra delle case “Non lo fate” disse “Andate via da questa casa è maledetta” ripetè più volte. “Ma chi è?” domandò Mario affacciandosi dalla finestra del piano di sopra e guardando Lisa disotto un pò impaurita. “E’ Aldo” sorrise dall’interno Andrea “lo chiamano Aldo matto, è un poveretto non sano di mente, non è pericoloso, dovete scusarlo non ci fate caso, chiacchiere di paese, dicerie, leggende, non date ascolto.” E così fecero. La visita si concluse. La casa piacque e le cose andarono avanti, i documenti furono firmati e le ditte cominciarono a lavorare. I lavori trasformarono l’antica dimora in una casa storica bellissima e la coppia non vedeva l’ora di metterci piede. Nell’attesa Mario continuava a dipingere i suoi lavori. Lisa una mattina si recò nel centro del paese per degli acquisti. Mentre camminava per strada incontrò quell’uomo. Aldo, grande e grosso. Con sguardo strano la riconobbe. Lisa era visibilmente a disagio, poi vide una vecchia signora che uscì proprio da una porta prese l’uomo per mano e gli parlò “Dai Aldo, basta fissare le persone, vieni in casa”. Poi si rivolse a Lisa “lo scusi, non fa apposta. E’ grande e grosso ma è buonissimo” Lisa prese coraggio e si avvicinò alla vecchia che continuò a parlarle “ormai non gli rimango che io e pensi ho quasi novant’anni, sono tra le più vecchie del paese” le sorrise con uno sguardo benevolo. Lisa prese allora coraggio e le domandò “mi scusi ma l’altro giorno Aldo era vicino alla casa che stiamo rimettendo perchè l’abbiamo comprata e mi disse delle strane cose”. La vecchia si fece descrivere tutto e poi sorpresa domandò “ma allora è la Casa del Frate” – “Si è quella” rispose Lisa “perchè la conosce?” La vecchia cominciò a raccontare “è una storia antica, una leggenda, che a Aldo ha sempre fatto paura, ora capisco. Si dice che la casa appartenesse ad un frate che faceva strane cose con gli alambicchi e la chimica, come si dice?” “Un’alchimista” suggerì Lisa. “Ecco così”, sorrise la vecchia. “Faceva dei miscugli e si racconta che provasse a trovare l’elisir della giovinezza, praticamente la vita eterna. La Chiesa per questa cosa lo scomunicò. Ma lui continuava e gli esperimenti li faceva con gli animali, serpenti e altri, ma in particolare con i pipistrelli. Si dice che un giorno provò su alcune persone del paese la pozione ideata. Di fatto quelle persone si ammalarono di un morbo strano. Iniziava con una tosse insistente, poi una grande febbre e un affanno sempre più intenso a respirare che cresceva fino alla morte. Questo morbo contagiò molte persone, finché più di metà della popolazione del paese fu infettata. I signori di Firenze decisero allora di isolare il paese chiudendo le quattro porte d’ingresso. Nessuno usciva e nessuno entrava. Il popolo insorse e accusò il frate di quella tremenda epidemia. In preda al delirio lo presero e lo chiusero per sempre nella sua cantina sigillandolo insieme ai suoi apparecchi e ai pipistrelli. Il morbo poi passò e così anche gli anni, tutto fu dimenticato. Si narra però che le poche persone che abitarono la casa, forestieri soprattutto, lasciassero l’abitazione improvvisamente, senza motivo e nessuno li vedesse più. Questa è rimasta una storia, che raccontiamo a veglia, ma non ci faccia caso, sono antiche dicerie di paese che finiranno quando noi vecchi non ci saremo più”. Lisa la ringraziò e la salutò incamminandosi verso la sua destinazione, cercando di scrollarsi il disagio che la storia le aveva messo addosso. Arrivò finalmente il giorno della fine dei lavori, l’ingegnere e il capo cantiere consegnarono le chiavi a Mario e Lisa. “Ecco” disse l’Ingegnere noi abbiamo finito ed eseguito tutto come da vostri desideri” mentre stava andando via tornò indietro, come se avesse dimenticato qualcosa – “Ah l’unica cosa che abbiamo dovuto fare di diverso, è stato murare un vano sotto le scale d’ingresso. Probabilmente c’era una vecchissima cantina. L’abbiamo esplorata, era otto metri sotto il livello della strada, umida e senza prese d’aria, un ambiente pericoloso per la struttura dell’immobile e direi anche lugubre.” Sorrise l’ingegnere finendo la frase. Lisa ricordò quello che aveva raccontato la vecchia ma subito scacciò quei pensieri e si strinse a Mario a cui non aveva raccontato la leggenda descritta. Furono portati i bei mobili che Lisa aveva accuratamente scelto e finalmente arrivò il giorno dell’ingresso nella casa. Sarebbe stata la prima volta che ci avrebbero mangiato e dormito. Lisa e Mario misero delle nuove lenzuola e fecero il letto insieme. Mentre la moglie finiva di accomodare i cuscini Mario si affacciò alla finestra. Era una bella serata di primavera e le rondini volavano alte. Ad un tratto una voce profonda dal basso della strada lo fece scuotere dai suoi pensieri: “fuggite finché siete in tempo”. Era il matto giù nel vicolo che lo stava guardando. “Va bene Aldo appena possibile andiamo via” scherzò Mario e rise insieme a Lisa. La notte arrivò e i due non poterono che inaugurare la casa facendo l’amore, come sempre appassionatamente. Dopo rimasero l’una accanto all’altro. Lisa era con la testa sulla spalla di Mario e a un tratto tese l’orecchio. “Cosa è stato?” disse alzando il capo “Hai sentito?” chiese di nuovo a Mario. “No” le rispose ponendo anche lui attenzione “sarà stata una macchina di passaggio” Dopo un pò il rumore però fu più netto, come di vetri rotti. “Ora l’ho sentito anche io” disse Mario mettendosi seduto sul letto. Sembrava venire dal piano di sotto. “Non sarà mica entrato qualcuno” disse Lisa con voce preoccupata. Il rumore successivo fu forte e cupo, seguito da qualcosa di diverso come una voce, anzi no, un lamento lontano. “Ma che cazzo…” disse Mario rimettendosi il pigiama e le ciabatte. “Ho paura” disse Lisa. Mario non trovò di meglio che prendere lo spazzolone che era nel bagno. Di nuovo quel rumore, poi uno successivo come di ali di uccello che sbattevano velocemente. Mario accese tutte le luci, scese le scale e impugnò il manico dello spazzolone come una mazza da baseball. Entrò nella cucina, in basso, ma non c’era niente di strano. Il cuore, nonostante lui cercasse di controllarsi gli batteva forte, accellerato. Aprì la porta dell’ingresso e guardò per strada. Un bel gatto nero lo stava osservando. Frugava in un contenitore dei rifiuti umidi lasciati per la raccolta del giorno successivo. Si rassicurò, rientrò in casa e disse a Lisa “era un gatto, accidenti”. Fece per salire il primo scalino e spense la luce dell’ingresso e della cucina. Un moto, un‘ombra, un attimo che distrasse Mario, come un movimento nell’oscurità sotto le scale. Guardò più attentamente ma si convinse di aver percepito male. Rientrò nel letto e sorrise a Lisa. Si stavano prendendo un pò in giro per tutto quello che era accaduto, quando le luci delle abat-jour si spensero improvvisamente. Ma non fu quella la cosa che li fece sobbalzare. Un secondo dopo le persiane e le finestre, rimaste socchiuse, sbatterono con violenza e si chiusero come se una mano invisibile le manovrasse. Mario scese di corsa e cercò di riaprirle anche per fare un pò di luce, ma erano come inchiodate. In quell’attimo la porta si spalancò con una forza inaudita. La figura terrificante di un essere incappucciato entrò nella camera come levitando sul pavimento. Una voce bassa e roca, spaventosa emetteva lamenti orribili. La stanza si riempì di una nebbia strana e malefica che confuse tutto. I due si chiamarono a lungo ma fu come se le voci si perdessero in un luogo che non era più la casa. L’urlo di Lisa fu acuto, atroce e angosciato, riecheggiò per le strade vuote del paese e si spense disperatamente nel vento tiepido della primavera. I giorni successivi Mario e Lisa non si videro più in giro Andrea dovendogli consegnare l’originale del contratto di acquisto, un mattino si recò alla casa e suonò senza avere risposta. Tornò allora un pò prima della sera, sperando che fossero rientrati dai loro giri. Azionò il campanello diverse volte e bussò forte. Ad un tratto una voce da dietro risuonò quasi minacciosa – “glielo avevo detto io, li avevo avvertiti”. Era Aldo che borbottava alzando il dito indice verso Andrea. “Non ti preoccupare” cercò di scherzare il giovane mediatore che aveva portato anche la copia delle chiavi d’ingresso rimaste in suo possesso per riconsegnarle. Titubante decise di entrare. Aprì piano la porta e chiamò “Mario, Lisa c’è nessuno?”. La voce si perse per l’appartamento senza risposta. Salì le scale ed entrò nella camera. Le lampade non funzionavano, aprì allora la finestra. La penombra della sera illuminò una camera disfatta che sorprese Andrea “ma guarda, se ne sono andati senza rifare neanche il letto” pensò. In quel momento lo sbattere di ali intorno a lui lo fece vacillare. Due pipistrelli giravano veloci nel soffitto della stanza. “Chissà perchè sono rimasti chiusi qua dentro” disse ad alta voce schiacciandosi verso la parete. Gli sfiorarono il volto più volte, poi si fermarono in un angolo. Sembravano osservarlo, con le ali semichiuse. Andrea inquieto prese uno spazzolone stranamente appoggiato al letto. Lo agitò verso i pipistrelli e gridò “via andate a infettare altrove”. Le due bestiole, una più grande e una più piccola infilarono finalmente la finestra e volarono via verso il buio della notte ormai imminente. Andrea richiuse le finestre, posò i contratti su un comodino e scese le scale. Nel farlo si voltò più volte nel buio e accellerò il passo, come spinto dall’oscurità. Voleva uscire velocemente, quella casa lo metteva a disagio. Lasciò la copia delle chiavi sul tavolo della cucina e chiuse la porta con forza. Mario e Lisa forse se ne erano semplicemente andati in giro, per qualche viaggio. “Si sa come sono gli artisti” pensò, e si avviò nella strada ormai immersa nell’ombra della sera.
