STIAMO A CASA. COME PROVA COLLETTIVA, NON COME SEQUESTRO DI MASSA

STIAMO A CASA. COME PROVA COLLETTIVA, NON COME SEQUESTRO DI MASSA

Finora la popolazione ha obbedito alle prescrizioni, salvo deprecabili quanto sporadiche eccezioni. Ecco, vorrei fosse chiaro che il modello sta reggendo solo per la collaborazione di tutti, non per la repressione. Perché questo ad alcuni non basta: valga da titolo quella finestra spalancata sul fascismo interiore di romani e non solo che risponde al nome di “Roma fa schifo” (sarai bello te). Che esalta misure nordcoreane, sbeffeggiando “aaa braivasi” con quell’odioso pidgin romanesco che tanto adora. Intanto in Lombardia ieri sono stati mappati gli spostamenti di tutti i cittadini, usando le celle telefoniche. In forma anonima e a fine statistico, dicono. Ma significa che possono. Gli serve solo una cornice legislativa, finora garantita unicamente da un Dpcm varato a Camere chiuse. Serve di più. Occhio a chiedere l’esercito e la geolocalizzazione. Occhio a chiedere il riconoscimento facciale. Occhio. Perché poi rimangono anche dopo che si riapre. E quando la “borghesia operosa” chiede l’esercito in strada poi non finisce bene. Stiamo a casa. Come prova collettiva, non come sequestro di massa.