UNESCO. DOMANI, EQUINOZIO DI PRIMAVERA, E’ LA GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FELICITA’
Anche quest’anno, nonostante l’emergenza sanitaria in atto, ricorre la giornata internazionale della felicità, indetta dall’Unesco nel 2012, non a caso il 20 marzo, ossia in concomitanza dell’equinozio di primavera, sarà perché la felicità ha affinità che si addicono a questa stagione di rinascita, forse. Certo non sono tempi propizi, ma forse proprio per questo chiamarla in causa potrebbe essere un modo per allontanare l’erta della paura, che rischia di deragliare in angoscia. Certo, non sono tempi, ma.. è forse per questo che si avverte ancora di più l’esigenza di un sorriso schietto, senza maschere o mascherine al seguito. Se cerco d’immaginare la felicità, questo bellezza inverosimile, evanescente e misteriosa, la immagino certamente con tutti i colori dell’iride, una luce boreale riflessa su tutte le cose che volteggiano intorno, e che magari fino al giorno prima erano ricoperte di penombre, o veli d’inquietudini. Poi, magari è bastato un là, l’incipit di una notizia inattesa, e muri ostili sono caduti davanti ai piedi, cirri minacciosi hanno liberato quell’angolo di cielo, una mano tesa, prima pugno chiuso, ha disegnato nuovi orizzonti davanti allo sguardo stupito. La felicità non ama solitamente suonare campane, né farsi annunciare da squilli di tromba, irrompe improvvisa e dirompente, come un fulmine, un guizzo di luce che occupa tutti gli spazi, allargando le prospettive. Non puoi definirla, è sfuggente, come la poesia, tempestata di mistero. Quando si allontana poi non ti chiede un parere, ti abbandona in mezzo ad una strada che pensavi interminabile, senza pietre miliari. La felicità devi viverla quando decide di sedersi alla tua mensa, perché è in cima all’asse verticale di ogni effimero, destinata a dileguarsi. La felicità in fondo è ciò che di meglio abbiamo nel nostro istinto appercettivo, ossia il grado massimo delle nostre percezioni. La Felicità rappresenta la chiave di sol di uno spartito pieno di note stonate, allegoria della vita, ma paradossalmente in armonia, perché la vita è la realtà più imponderabile e imperfetta che esista. La felicità devi viverla con un guizzo di follia, perché spesso sfugge al razionale equilibrio del quotidiano. Dovessimo identificarla in un fiore, certamente sarebbe insolito, forse raro, magari non in via di estinzione, certamente spunterebbe in aerali riparati, protetti.. Una specie poco comune, che non ha necessità di humus particolare, ma di equilibri di natura che ne favoriscano lo sviluppo, dove ci sia rispetto per i semplici regolamenti della vita. Difficile anche descriverla, la felicità, dato che è simile a una visione, che fa cambiare colore a tutto quello che sta intorno, compreso il pezzo di cielo di coloro che vivono in piena sintonia con questo Ente indefinibile, in un clima di aurora boreale. La felicità è uno stato psicologico che determina l’umore di un individuo, fa entrare il sole nella sua vita, lo rende artefice e protagonista del suo tempo. E’ una strada in discesa che favorisce il ‘transito’, mostra prospettive inedite, che in altri periodi non si riesce a percepire. Per questo è uno stato di grazia del quale si è consapevoli, come si tenesse stretta tra le mani la formula della luce. Se sei felice significa che sei cosciente di quella polvere di stelle che stringi fra le mani, e sai che non confina con l’infinito. E’ destinata a dissolversi, a volte lasciando vaghe orme di sé, o grandi segni dietro il suo passaggio, a volte irridendo il povero mortale al quale lascia soltanto un pugno di polvere, in attesa di un suo ritorno meno ingrato, forse. La felicità del singolo o quella della società, dovrebbe essere il principale scopo di chi amministra la vita dei cittadini, qualcuno propone di dare uno sguardo al ‘BIL’ (“benessere interno lordo..”) oltre che al PIL, dato che non di solo pane vive l’uomo. Il benessere di una persona è orientato certamente in una lunga serie di punti cardinali, ma a volte non è necessario raggiungere livelli di vita esclusivi, impiegando risorse enormi, spesso bastano le fondamentali certezze sulle quali dovrebbe basarsi la vita di un uomo. Felicità, d’accordo, è una condizione solo apparentemente semplice, proprio perché ci sono tante variabili dipendenti, intrecci legati ai rapporti umani dell’individuo, in particolare i suoi affetti, le amicizie, e il mondo che gli vortica intorno. E’ talmente importante nella vita di ognuno, che l’ONU ha deciso d’istituire ‘il giorno della felicità’ “The international day of happiness”, che si celebra il 20 marzo, in concomitanza con l’equinozio di primavera. Non a caso, dato che il 21 marzo è segno di cambiamento, rinascita, dunque luce nuova nel volto degli esseri viventi. In questa celebrazione ci sono anche motivazioni di grande valore etico, come la sensibilizzazione verso i popoli che vivono in situazioni umane di grande disagio, a causa di terribili conflitti, per ragioni di sottosviluppo, carenze dei fondamentali diritti e necessità primarie, e proprio per questo impediti a raggiungere una condizione di felicità, che dovrebbe spettare in dote e per nascita a qualunque essere vivente. La felicità, di norma, ha un andamento incostante, una curva anomala nell’esistenza di ognuno, anche di coloro che vivono un genere di vita fatto di privilegi e diritti pressoché esclusivi. Se dunque dovessimo rappresentare questa misteriosa entità in forma di diagramma, dovrebbe apparire con picchi talora improvvisi e brusche cadute, simile ad un elettroencefalogramma, se vogliamo, e meno male, perché quando ha andamento ‘piatto’, la felicità non entra nemmeno attraverso le fessure di una finestra, tanto certe vite le sono invise, per ragioni che possono avere turbolenze di carattere fisico, ma anche di altra natura. Ci sono numerosi fattori che determinano la qualità della vita; in spiccioli è necessario avere ‘i recettori’giusti. Certo, tanti scienziati, oltre che filosofi, letterati, sociologi, hanno inquisito in lungo e in largo questa dea che ama davvero essere incoraggiata, vezzeggiata e rispettata. Una grande scienziata, Candace Pert (neuroscienziata e farmacologa, scomparsa nel 2013) che nei primi anni ’70 ha scoperto i recettori degli oppiati, portando un’autentica rivoluzione nel mondo scientifico e nel settore farmaceutico, ha scritto un libro su questo importantissimo aspetto della vita umana, che consiglierei a tutti di leggere: ‘Molecole di emozioni’. La dottoressa Pert aveva semplicemente scoperto la base molecolare delle endorfine, ossia quei mediatori chimici secreti dall’ipofisi, che creano nella mente uno stato di piacere e a volte perfino euforia; ma soprattutto attenuano il dolore. Questi neurotrasmettitori sono anzi gli antagonisti del dolore. Non per nulla la morfina, che ha una struttura chimica molecolare simile alle endorfine naturali (dette anche ormoni della felicità), si lega perfettamente ai suoi recettori, eludendo dunque la perfezione in micron dell’organismo stesso, e la sua intelligenza autonoma. Lo stato d’animo, le emozioni dunque, hanno corrispondenze ben definite sul piano bio-chimico, dato che riflettono un preciso assetto cerebrale e neuronale. Essere felici è una condizione interiore psicologica e fisica, non è soltanto l’uno o l’altro, i due aspetti sono fortemente interdipendenti. A questo si è pervenuti dopo anni e anni di ricerche all’interno dei laboratori, e in modo semplice la scienziata statunitense ha cercato di spiegarlo in ‘Molecole di emozioni’. Nella ricerca dell’infinitamente ‘piccolo’, nella microbiologia e campi affini, c’è il destino delle scoperte sulle origini delle nostre emozioni, quelle che provengono dal mondo sommerso della psiche, e quelle che in forma di input emotivo vengono dalle esperienze e l’ambiente nel quale si sviluppa il quotidiano. Tantissimo è stato portato alla luce negli ultimi decenni dai neuroscienziati, soprattutto sul ruolo che i neuropeptidi svolgono nell’ambito delle sinapsi, attraverso i recettori che, a quanto pare, sono dislocati in diversi distretti dell’organismo, come il midollo spinale, e non solo dunque nell’area cerebrale più interessata ai fenomeni delle emozioni, in particolare il sistema limbico. Proprio per quell’alone accattivante di mistero, sono stati davvero in tanti ad occuparsi di felicità, in ambito culturale, a cominciare dai classici greci, come Aristotele, che riteneva l’uomo artefice della propria felicità, attraverso una buona gestione del proprio sé, dei suoi valori e passioni. Secondo Epicuro, che si è ampiamente dedicato alla ricerca del benessere interiore dell’individuo, la felicità fa parte della natura propria dell’uomo, è già insita in lui la tendenza a raggiungerla, rifiutando istintivamente il dolore. Queste concezioni sono chiare ed evidenti nella famosa ‘lettera sulla felicità’, ‘indirizzata’ a Meneceo. E’ magnifica e di senso universale, questa lettera che contiene ragionamenti in grado di sfidare la protervia del tempo, è ancora più che mai attuale, ineccepibile sul piano morale Quello che segue è un estratto molto eloquente sul tema ‘felicità’: “Così pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita. Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall’ansia. Una volta raggiunto questo stato ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell’animo e del corpo. Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso. Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno.” E’ davvero difficile dare un volto con profili esatti a questa fin troppo ambita entità che volteggia intorno a ciascun individuo, talora disdegnando le sue aspirazioni e altre volte, magari inaspettatamente, trovandosela dietro la porta, con in mano qualche sensata ragione per vivere in sua compagnia.
