RACCONTI DALLA QUARANTENA. CARLO ALBERTO E LA GATTARA

RACCONTI DALLA QUARANTENA.  CARLO ALBERTO E LA GATTARA

È arrivata puntuale come ogni giorno. Ma oggi aveva una luce diversa. O forse era diverso il mio stato d’animo. Non conosco il suo nome né so niente della sua vita. So che ha un animo gentile e questo mi basta. Non ha il portamento di Mary Poppins ma il suo borsone ci somiglia molto. Poco alla volta lo svuota del suo contenuto: bottiglie d’acqua, ciottoline di polistirolo, bustone di crocchette e avanzi del pranzo. La scruto dalla mia panchina. Con un occhio osservo i suoi movimenti, con l’altro il mio barboncino che, essendo completamente cieco, sbatte da un albero all’altro. Prepara accuratamente le porzioni. Poi li chiama: Mimì, Pallino, Polpetta, Fiocco, la pappa è pronta! Li vedo arrivare, alla spicciolata. Si strusciano attorno alle sue gambe, annusano il cibo, si acciambellano. Lei si china per accarezzarli, ma con gli occhi cerca qualcosa o forse qualcuno che ancora manca all’appello. Si rialza a fatica, si aggiusta i capelli e si fa ombra con la mano sulla fronte: Carlo Alberto, dove sei? Chiama uno due tre e più volte. Da lontano vedo sbucare un gattone. Bellissimo, maestoso. E subito capisco il perché di quel nome regale. Prima di andar via dà 0uno sguardo alle cucce che lei stessa ha sistemato in un angolo remoto del parco, ciao, ci vediamo domani, li saluta. Se ne va col suo borsone. E con lei se va l’immagine più bella che ho visto oggi nell’unico momento di ‘svago’ della mia quarantena