LETTERE DA UN PAESE CHIUSO. IL VIRUS DELLE PICCOLE COSE

LETTERE DA UN PAESE CHIUSO. IL VIRUS DELLE PICCOLE COSE

Risale la curva dei contagi. Più 848 a Milano città in 24 ore: è un fortino in cui si aprono brecce.Parlano di una seconda ondata, e sembra quando stavamo sugli argini del grande fiume, in Polesine, ad aspettare la piena annunciata, centimetro su centimetro. Ma voglio mettere da parte, almeno per un giorno, il dolore, la paura e anche la rabbia. Certe volte non mi sembra vero. Ieri mattina sono uscito e, già in strada con il cane, mi sono accorto di aver dimenticato la mascherina. Ho pensato che a quell’ora, in una mattina di aria fredda, sarei stato solo come un cane con il mio cane nell’area cani, e ho tirato diritto. C’erano due persone all’angolo del supermarket: apre alle otto e mezza, stavano lì, primi della fila, dalle 7 e mezza. Ma l’area cani era deserta. La cassetta delle buste nere per raccogliere quello che il tuo cane lascia era vuota, e ho utilizzato quella chiara del contenitore appeso al guinzaglio. Ho sentito un rumore, era un uomo in tuta arancione che riempiva la cassetta con un pacco di buste nere nuove. Non l’avevo sentito perché il camioncino con il motore acceso, le scope che sporgevano dal cassone, doveva essere elettrico. Mi ha salutato da dietro la mascherina. E sono rimasto lì a pensare se fosse un lavoro essenziale, il suo. Non ho avuto dubbi che sì, lo è, e che uno continui a fare il suo piccolo, e chiamerei umile se l’umiltà non fosse fuori moda, il suo piccolo dovere, è un segno che alla fine ce la faremo. Anche se per carattere sono più per #nonsimollauncazzo che per#andràtuttobene. Forse perché ho visto troppe cose andare male, o forse perché mi piace di più l’idea di tenere duro, o forse perché, come diceva mia madre con una parola che non si usa più, sono sboccato.Leggo le notizie al mattino presto, anche se mi affasciano più gli scenari futuri che i dati di ieri. Quanto durerà ? A lungo, almeno fino al vaccino. Ci sarà il rischio di ricadute. Come sarà il dopo ? Cambierà tutto: le palestre, i cinema, gli stadi, i bar, lo shopping, il lavoro. Dopo il terremoto in Friuli, nel 1976, scrissi, traducendo in un italiano semplice quel che mi dicevano gli esperti, un libretto dal titolo. “Vivere con il terremoto”, dove si cercava di spiegare che un sisma è un fenomeno naturale. Che non si può prevedere, ma possiamo difendercene con costruzioni antisismiche. Ecco, penso che adesso dobbiamo imparare a convivere con il virus, fino a quando non ci vaccineranno. Non è facile né il lavoro, adesso, né la clausura. Né tenere il conto dei morti: ieri ho ricordato Paolo Micai, ma è mancato anche “il Batta”, fonico di studio, 54 anni.Ma cerco di tenere duro,#nonsimollauncazzo, per non aggiungere altro lavoro ai medici e agli infermieri che non mollano. Ho visto un video commovente, senza parole, dei poliziotti e dei carabinieri davanti all’ospedale di Bergamo (ma lo hanno fatto in tante altre parti, in questo video è l’ospedale di Busto Arsizio), con le loro auto a fari e lampeggianti accesi, a rendere omaggio ai medici e agli infermieri che combattono e cadono, o solo si appoggiano a una parete per tirare fiato, sotto quelle bardature da fantascienza. E i medici e gli infermieri, che escono affacciandosi al cortile e da dietro quelle armature da fantascienza applaudono i poliziotti e i carabinieri, in strada a controllarci con povere mascherine, in giro dappertutto per recuperare bombole di ossigeno, e c’è qualcuno che in zona Corvetto su un muro ha invocato Covid ad ammazzare gli sbirri, ma oggi voglio stare buono lasciamo perdere. Sono, questi uomini in divisa, come l’omino delle buste per la cacca dei cani, come il camionista o la cassiera: ognuno al suo posto. Il mio, purtroppo o per fortuna, è più semplice: tornare a casa. Sulla strada di casa ho pensato al pandemonio sul servizio del 2015 di Leonardo, il tg scientifico di Raitre, dove si racconta di un virus manipolato nei laboratori cinesi. Apriti cielo: dibattito politico, l’opposizione cavalca, il governo smonta, Di Maio si adonta, e tanti che non si erano scandalizzati a fake news tipo è solo un’influenza, si indignano: una storia all’italiana, dimmi chi lo dice e ti dirò cosa ne penso. Un storia italiana, con governo e opposizione e i loro tamburini che affrontano l’emergenza come fosse una campagna elettorale (è vero che in genere affrontano le campagne elettorali come fossero emergenze). E’ tutto molto più semplice: il servizio del TG3 era fondato, e basato su un articolo di Nature, prestigiosa rivista. Ma Covid 19 non è QUEL virus allevato in laboratorio. E’ un altro, generato in natura. Guardatevi, se il tema vi appassiona, il modo semplice e laconico con cui la stessa Nature dice che non esiste un legame tra i due virus. A questo punto, la tragedia si fa commedia all’italiana, perché la Rai maneggia il servizio negli archivi on line come se fosse la sciarpa di un contagiato, deve smentire se stessa, e deve farlo per bocca di un suo dirigente leghista. Gli sfugge, e Striscia la Notizia ieri sera glielo ricorda, un servizio analogo della Rai del 17/02/2020, quaranta giorni fa. Il corteo dei tamburini impazza, e tutti zitti sulla sostanza:1) Sono due virus diversi. Anche Nature lo chiarisce, ma con toni quieti, e senza smentire il suo articolo del 2015:http://archive.is/cSAmKra.2) La Cina comunque manipola virus in laboratorio. Scopi scientifici, non militari, ok. Non è l’unico Paese a farlo, ma diciamo che non è una vetrina di trasparenza.3) Il Paese che ha nascosto per due mesi l’emergenza, che ha punito il medico che l’aveva individuata, che ha forse nascosto i numeri, celebra la vittoria sul virus e si propone come un modello, un benefattore del mondo. Alcuni media cinesi addirittura avanzano il sospetto che il Covid19 sia nato in Italia, utilizzando furbescamente una intervista a un medico italiano che raccontava di aver registrato polmoniti sospette a novembre.Su questo, tutti zitti, le vie della Seta sono macchinette sforna soldi, tamburi ai piedi, bacchette in tasca. Sono tornato a casa, e in quell’intervallo di tempo che sono i bisogni del mio cane, la vicina di casa aveva rimpinzato la sua bibliotechina in mezzo alle caselle della posta. Altri due libri, che si aggiungono ai tre rimasti. Li ho guardati – ho molti libri ancora da leggere, su in casa mia – vincendo la tentazione di sfogliarli, perché uno mi ha detto che il virus vivacchia per ore, sulla carta, e non si sa mai. Erano titoli e autori che non conoscevo. Mi sono accorto di aver avuto spesso la tentazione, in case altrui, di capire il tipo umano sbirciando i suoi libri, che a volte dicono più dei vestiti, delle parole, o dei quadri alle pareti, o dei soprammobili. Ho pensato ai gusti della vicina, ma mi sono fermato: perché li aveva scartati, quei libri, e dunque forse non la rappresentavano… oppure erano tra i libri che le erano davvero piaciuti e in un gesto generoso aveva voluto condividerli con noi … oppure le erano stati regalati…. a prima vista erano libri letti, non intonsi, anche se non usati come un libro di scuola. E allora, salendo in ascensore, ho pensato a quali libri metterei io lì sotto, in un gioco della torre di Pisa che può essere crudele. Perché ci sono i libri che ho amato, quelli che potrebbero essermi ancora utili, quelli che si limitano a ricordarmi, come in una fotografia, quello che ero. Quelli scritti da amici, quelli regalati da amici, quello spediti da sconosciuti e però con dedica. Non lo so, ma quei cinque libri al pianoterra sono un buon alibi per togliersi le scarpe, lasciarle sul pianerottolo, entrare in casa, andare a lavarsi le mani, scusarsi con le mascherine trascurate, guardare i miei libri e pensare che possono stare tranquilli. Il virus ci ha messo tutti in pensione, quando contano le piccole cose, i piccoli passi, le piccole boccate d’aria, i piccoli ricordi dei medici, degli infermieri, dei poliziotti e dei carabinieri che hai conosciuto nella tua vita, e non avresti mai pensato di vederli applaudirsi a vicenda, uomini e donne dure che mollano solo per qualche minuto, poi tornano in corsia e salgono a bordo. Loro sono nel cuore di tutti, ma non sono gli unici a dare di più. Ci sono storie come quella raccontata dalla mia amica e collega Claudia Marchionni: “La sua famiglia ha sempre avuto le pompe funebri nel paese vicino al mio, Montecchio (Pesaro-Urbino). Adesso che non si fanno i funerali, passa col carro lentamente, sotto casa del morto, nella sua strada, davanti alla fabbrica, così chi lo conosceva può salutarlo o farsi un segno della croce dalla finestra, da dietro i cancelli. Si chiama Vittorio Galvani. Il coronavirus gli ha portato via la madre di nascosto, come fa con tutti”. E allora torni a far compagnia a te stesso, ma qualche volta la tua compagnia ti viene a noia, e allora apri un libro che ti rapisca.