E ALLE 18 UN REGALO INASPETTATO: LE NOTE DI UN VIOLINO
E alle 18 un regalo inaspettato: le note di un violinoRaccontino della notte. E alle 18, nella sala da pranzo-redazione con la finestra un po’ alzata, entranole note di un violino. «Ma chi starà suonando sotto casa?», mi chiedo meravigliata. Mi affaccio: i giardini pubblici sono deserti, guardo di qua, di là, non vedo musicisti. Afferro il telefonino e vengo anticipata. Squilla: sul display ‘Bencivenga direttore’ per distinguerlo dall’altro Bencivenga, lui avvocato. Stesso cognome, stesso nome: Marco. Anche ‘Bencivenga direttore’ è corso sul balcone che dà su via Solferino. «Ma tu vedi qualcuno?».«Io no». «E tu?». «Neanche». «Che sia la filodiffusione» ci diciamo. Chiunque sia, ci ha fatto un bel regalo. Dal display del telefonino al display del computer: sullo sfondo azzurro, i file dell’inchiesta sul calcio scommesse. Torno a quel giugno del 2011, l’inizio della poderosa indagine su giocatori, dirigenti, allenatori, sui clan degli ‘zingari’ e giapponesi: nomi impronunciabili. Indagine poderosa. Mesi mesi e mesi di lavoro frenetico, interessante, divertente, sfiancante. Alle 8 del mattino sbarcavo in via dei Tribunali. I primi ad accogliermi erano colleghi e cameramen delle Tv in onda h24. Poi, via via arrivavano tutti gli altri giornalisti e fotografi. Eravamo in tanti, ammucchiati nel cortile del palazzo di giustizia, seduti sotto la magnolia dove abbiamo seminato i noccioli di ciliege, oppure accovacciati sul marciapiede, fuori dal palazzo che per la stampa, chiudeva alle 18. Stavamo lì, al caldo d’estate, al freddo d’inverno, anche sino alle nove della sera per l’ultimo, l’ultima, pronti ad assaltare il povero avvocato (in gergo giornalistico, l’assalto è la tonnara). Bivaccavamo lì, con un occhio sull’orologio, le dita sulla tastiera del pc, l’ansia di chiudere i pezzi. Che nostalgia, perché il cronista vive sulla strada. E lì, mentre raccogli una intervista, una battuta, uno sfogo e anche uno ‘shampoo’, chi ti parla, lo vedi negli occhi. I miei occhi ora non vedono più nessuno. Né il nemico – l’invisibile bastardo – né i suoi bersagli, uomini e donne che combattono nelle corsie. Ecco, io, cronista di strada, se si potesse, ora salterei in auto e correrei in ospedale, che sia il Maggiore il campo mobile dei Samaritani americani. Busserei stanza per stanza, tendone per tendone. Starei lì ore a parlare con i pazienti, soprattutto i nostri amati nonni. Li guarderei negli occhi, accarezzerei le loro mani, li incoraggerei. Starei lì ore a sentire le loro storie. Farlo sul campo di battaglia ha tutto un altro sapore. Leggere le storie su Facebook ma non è la stessa cosa. Ai tempi del calcioscommesse, asfaltavamo pagine di giornali. Anche ai tempi del Covid-19 ne asfaltiamo. Ma da casa (restiamo in casa, l’unica arma che abbiamo contro l’invisibile bastardo). Da dodici giorni sono chiusa nella sala da pranzo- redazione. C’è un gran silenzio, rotto dal rumore dell’aspirapolvere che sta tirando l’amata Minnie. Si scusa, ma i mestieri di casa si devono pur fare: detersivi, igienizzanti, disinfettanti. Guardo il display del pc, i file con il carteggio dell’indagine sul pallone che ho raccontato dal cortile del palazzo di giustizia o dal marciapiede di via dei Tribunali. Squilla il telefonino. Ricevo un invito per un caffè dai samaritani americani. Non mi par vero. Sorpresa. Nelle ultime due settimane, ho fatto la cronista di strada tre sole volte: nei due giorni di allestimento dell’ospedale da campo e quando lo hanno aperto. «Un caffè? Grazie, molto volentieri». Sono già pronta, mascherina, guanti in lattice e chiavi dell’auto in mano. «Nel fine settimana o inizio della prossima». «Ok». La Minnie: «Ma non sarà pericoloso?». Mi conosce bene, sa che ci andrò. L’invisibile bastardo mi tiene lontano dagli occhi, ma io lo ‘frego’ con le orecchie. Che meraviglia quelle note di violino. Scusate il disturbo.
