GIANCARLO GIANNINI, UNA CARRIERA LEGGENDARIA

GIANCARLO GIANNINI, UNA CARRIERA LEGGENDARIA

Lo raggiungiamo al telefono: è a casa, come tutti. Ma senza arrendersi alla noia., «Sto facendo un lavoro di falegnameria, mi impegna moltissimo: non riesco a stare con le mani in mano…». Giancarlo Giannini. La sua carriera è leggendaria. Un’ infinità di film interpretati, un premio come miglior attore a Cannes, una nomination all’ Oscar per Pasqualino sette bellezze, sei David di Donatello, cinque Nastri d’ argento. Nato a La Spezia, famiglia toscana, cresciuto a Napoli, precipitatosi a Roma, all’ Accademia, poi una vita fra Cinecittà e il mondo, Hollywood compresa. La fama internazionale con la Wertmuller: in Travolti da un insolito destino nell’ azzurro mare d’ agosto, nel ruolo del selvatico Gennarino Carunchio, incarnava la rabbia dei proletari, ma in chiave comico/grottesca. Non basta: è sua anche la voce di Al Pacino e di Jack Nicholson, quella voce che regala un’ asprezza luciferina ad attori già iconici. E Giannini è anche un inventore, con numerosi brevetti registrati nel mondo: un bricoleur di genio, appassionato di astronomia, filosofia e matematica. Giannini, come si sente in questi giorni? Che cosa fa? «Sto bene: guardo la televisione, come tutti. Soprattutto i documentari sugli animali: mi affascinano i rituali e l’ intelligenza del mondo della natura». Continua a costruire strani giocattoli, come la giacca delle meraviglie del film Toys con Robin Williams? «Ahah! Sì, quella giacca che emetteva suoni e voci secondo i movimenti del braccio nasceva da un giocattolo che avevo inventato per i miei figli». «Esatto: indossandolo, uscivano suoni creati dai movimenti della mano. Piacque molto agli americani, che mi rubarono l’ idea e lo commercializzarono: fu il giocattolo più venduto negli Usa quell’ anno!». Sembra molto legato a queste sue attività collaterali. «Perché la mia vera attività collaterale è il cinema. Non l’ ho mai preso troppo sul serio». «I sogni, l’ immaginazione, i progetti. Mi piace inventare le cose perché mi piace pensare quello che non c’ è». Parliamo un po’ di cinema. Iniziando da chi non c’ è più. Luchino Visconti, per esempio, con cui girò L’ innocente… «Era il suo ultimo film. Luchino era già sulla sedia a rotelle, ma lucidissimo: un giorno chiese un parere su un dettaglio a tutto il suo clan. Io, che avevo studiato il copione in modo maniacale, espressi un parere diverso da tutti. Lui ci pensò un attimo, e disse: “Ha ragione Giannini!”. E rivolto a tutti i suoi aiutanti: “Siete una manica di…!”. Da allora iniziò una meravigliosa amicizia. Mi disse: “da domattina tu prendi il caffè con me”. Peccato che prendesse sempre il caffè turco, un intruglio diabolico e sabbioso!». Parlaste anche di un film successivo? «Sì: mi disse “il prossimo film lo devi fare tu”. Non fece in tempo». «Federico era nottambulo, come me. Una volta mi suonò alle quattro del mattino. Aveva tra le mani una confezione di carta stagnola. Come mettendomi a parte di un segreto nucleare, mi sussurrò: “ho del parmigiano incredibile, ora ci facciamo delle tagliatelle al ragù!”. I geni sono questo: bambini innamorati delle cose, del cibo, della vita». Pier Paolo Pasolini la volle per un film su San Paolo. «Non lo sa quasi nessuno: doveva essere la storia di San Paolo attualizzata al tempo della Seconda guerra mondiale. La sceneggiatura di quel film la conservo gelosamente». Con Antonioni ci fu un progetto? «Sì: dovevamo fare un film dal bizzarro titolo Patire o morire. Un architetto e una ragazza: la loro passeggiata di notte, tutta girata in piano sequenza. Alla fine lei entra in un convento di clausura! Dovevamo anche girare in Australia La ciurma, il suo grande sogno». Ha lavorato, fra i geni di Hollywood, con Coppola. «Sì: in New York Stories. Francis mi aveva già chiamato per il ruolo del fotografo in Apocalypse Now, ma non potevo: il ruolo andò a Dennis Hopper, che lo interpretò in modo fantastico». «Parlava spesso della Basilicata, dove si rifugia tuttora appena può. Un genio dell’ immagine come lui mi diceva: “in realtà non so girare, non conosco le regole”. È un istintivo, e anche un uomo di umiltà rara». Ha girato anche due 007, Casino Royale e Quantum of Solace. Com’ era il set? «Quando tornai per il secondo film, Daniel Craig disse: “finalmente ricominciamo a ridere!”. Sul set lì sono tutti molto seri. Non capiscono come si fa a ridere, scherzare e entrare immediatamente nel personaggio al grido: “Azione!”». «Il pesto! Sono il re del pesto! Riconosco il basilico buono da lontano: quello ligure è il migliore perché cresce in poca terra, esposto al sole e al salmastro. Due regole: spaghetti mai, sempre con la patata». A proposito di scoperte. Lei girò con una Julia Roberts esordiente… «Sì, in Legami di sangue, un western che aveva come protagonista Eric Roberts, suo fratello. Che in quel momento, era quello famoso dei due! Lei aveva il minuscolo ruolo di una siciliana. Ma in un primo piano meraviglioso, con un sorriso immenso, si vedeva la luce nei suoi occhi. Gridai al produttore: ma fatele un contratto, subito! Vedrete, questa andrà lontano». Cos’ è l’ attore, secondo lei? «Un segno. È lo strumento per fare salire il pubblico sul palcoscenico, o nello schermo, insieme a lui». Passato, presente, futuro: quale tempo la appassiona di più? «Non il passato, non il presente: penso sempre al futuro. Il mondo straordinario nel quale vivo è quello della fantasia». Grazie a Letizia Cini che ha accolto e impaginato questo pezzo (lo vedete nel post sotto, con titoli, didascalie e foto. Grazie per permettermi di lavorare in questi tempi difficili).