BUONGIORNO UN CORNO!, LUNEDI’ 6, ALLA FINE HA VINTO L’URSS …
Bisogna essere antitetici al complottismo in ogni sua forma e ragionare sui fatti. Questo ci permette di spiegare la differenza tra la lotta al complottismo e la soppressione del diritto al dissenso politico e sociale. La scienza, il grande convitato di pietra di questi ultimi anni ha dimostrato di non avere sempre risposte. Il caso del Covid 19 è evidente, vi rimando agli articoli che dicono tutto e il contrario di tutto sull’argomento, e non parlo delle mascherine e della distanza di sicurezza, parlo proprio del Covid 19. Il complottismo nasce quando tuo padre ti dice che una cosa è così perché sì. A quel punto tu hai il diritto di pensare che non è per niente così. Che chi ti dice che è così perché sì è il primo a non sapere il perché oppure se accettasse di discutere il perché sarebbe costretto a mettere in discussione la sua autorità. Allora dobbiamo fare un passo indietro di molti anni e citare l’Unione Sovietica. Sperando di non dover ricordare ai più giovani che la Russia con altri stati da sempre nella sua orbita geopolitica fino al 31 dicembre 1991 era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche nate dalla rivoluzione bolscevica compiuta il 7 novembre 1917 secondo il nostro calendario, il 25 ottobre secondo il calendario giuliano. All’era rivoluzionaria di Lenin seguì l’epoca di Stalin. I terribili crimini contro l’umanità da lui commessi vennero tollerati dall’occidente in nome del decisivo contributo sovietico alla vittoria contro il nazismo nella seconda guerra mondiale. Lo stalinismo nella sua repressione di qualsiasi dissenso, anche potenziale, assunse tratti farseschi, anche se tragici, quando istituì la scienza di stato, facendone una priorità nazionale per colmare la distanza tecnologica verso l’occidente. Va detto che molti scienziati sovietici ebbero riconoscimenti importanti dalla comunità scientifica occidentale, ma in alcuni settori l’ideologia staliniana portò a sopprimere la ricerca. C’è il caso clamoroso di Trofim Lysenko che rifiutò di accettare la teoria cromosomica dell’ereditarietà posta a base della genetica moderna convincendo nel 1948 Stalin a vietare la pratica e l’insegnamento della genetica delle popolazioni e con essa altri campi di ricerca della biologia e fu così finché fu vivo Stalin. Tutta la ricerca, comprese le scienze naturali, doveva essere fondata sul materialismo dialettico. La dottrina Zhdanovshchina fu la manifestazione più famosa di questa assurdità. Prende il nome da Andrej Zhdanov, nominato da Stalin a controllore dell’ortodossia ideologica della cultura sovietica per uniformare tutte le opere scientifiche e artistiche alla dottrina staliniana. Zhdanov era il padre del genero di Stalin, candidato a succedergli, prima di morire nel 1948 in strane circostanze, ma la sua dottrina, la Zhdanovshchina appunto, continuò a dettare le linee guida fino alla morte di Stalin e fu accettata da quasi tutti gli intellettuali sovietici. Le leggi scientifiche “oggettive” dovevano essere sottomesse alle idee del Partito. I bersagli più clamorosi di questa dottrina furono il Big Bang, la meccanica quantistica e la teoria della relatività di Einstein. Il Big Bang, non fu accettato perché teorizzava una creazione che, a parere dei difensori dell’ortodossia ideologica, assomigliava troppo alla Genesi biblica. Così, il Big Bang venne bollato come teoria pseudo-scientifica e idealistica. La teoria quantistica fu rifiutata perché, con la teoria della dualità tra onda e particella non descriveva la materia come una struttura unica e reale, negando così a prima vista il materialismo. La teoria della relatività, l’universo in espansione, fu descritta come un “tumore canceroso che corrode la teoria astronomica moderna ed è il principale nemico ideologico della scienza materialista” e fu eliminata. Il premio nobel per la fisica del 1962 Lev Landau e lo scienziato Abram Ioffe furono accusati di “strisciare di fronte all’Occidente” perché lavoravano sulle teorie del “nemico”. Peter Kapitsa, premio Nobel per la fisica nel 1978, fu accusato di propagandare “apertamente il cosmopolitanismo”; Iakov Frenkel e Moisei Markov furono accusati di “accettare acriticamente le teorie fisiche occidentali e propagandarle nel nostro Paese”. Questo dramma farsesco ebbe il suo culmine quando l’Urss si pose l’obiettivo di ottenere la bomba atomica per stare alla pari con gli Usa. Nel 1949 la Conferenza Generale dell’Unione Sovietica dei Fisici doveva imporre i dogmi della nuova fisica, respingendo una volta per tutte le teoria “anti materialistica” della relatività e la meccanica quantistica. Però Igor Kurchatov, direttore del programma della bomba nucleare, spiegò ai capi del partito che se la teoria della relatività e la meccanica quantistica fossero state respinte, anche la bomba atomica non avrebbe più avuto le basi per essere sviluppata. A quel punto la conferenza venne annullata e il programma nucleare sovietico, facendo finta di niente, proseguì fino a testare pochi mesi più tardi il primo esemplare per competere nella corsa agli armamenti con l’Occidente. La leggenda racconta che il nobel sovietico Lev Landau, sostenne che in quel caso la sopravvivenza dei fisici sovietici fu “il primo esempio di deterrenza nucleare che ebbe successo”. Alla scienza staliniana pensavo quando l’associazione Patto trasversale per la scienza ha inviato una diffida legale ai ricercatori del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, dove tra l’altro è stato isolato il ceppo italiano del virus, “per le gravi affermazioni ed esternazioni pubbliche sul coronavirus, volte a minimizzare la gravità della situazione e non basate su evidenze scientifiche“. Chiedono a Maria Rita Gismondo, la direttrice, di rettificare alcune sue affermazioni. Per fortuna i gulag staliniani sono momentaneamente chiusi e la Gismondo non rischia di essere arrestata e deportata in Siberia. I cosiddetti scienziati del patto trasversale per la scienza si sono ben guardati dall’inviare una diffida all’Organizzazione mondiale della Sanità che diceva le stesse cose della Gismondo perché sanno bene che il mondo scientifico, quello vero, gli riderebbe in faccia. Allora una potrebbe pensare che questi scienziatoni del Patto trasversale della scienza hanno capito tutto del coronavirus, del covid 19, come è nato, come si diffonde, come si cura. Invece non ci hanno capito nulla esattamente come tutti gli altri scienziati del mondo. Eppure nel loro non capirci nulla sostengono di non aver capito nulla molto meglio degli altri e quindi di poterli censurare. Se passasse una simile linea ci ritroveremmo nell’Urss di Stalin in men che non si dica, con una scienza ufficiale di stato, quindi la negazione stessa della ricerca. Di questo patto trasversale per la scienza, che è nella sua stessa natura impositiva antiscientifico fanno parte anche, purtroppo, dei giornalisti. Cioè quella stessa categoria che in questi giorni intervista e lancia su scala nazionale il primo biologo che trova per strada pur di coprire uno spazio. Perché allora non mandare la stessa reprimenda alle testate che alla dottoressa Gismondo si sono attaccate come cozze allo scoglio pur di offrire ai telespettatori qualche minima informazione su quanto stava accadendo? Lo faranno, contateci, quando uno prende derive autoritarie che sarebbero ridicole se non fossero pericolose non si ferma più davanti a niente. Perché le affermazioni della Gismondo sono diventate pubbliche grazie alla stampa e non perché la ricercatrice si è messa in piazza a urlarle. Io spero che questi signori si diano una calmata, altrimenti bisognerà organizzare una vera e propria resistenza contro queste forme di fascismo staliniano strisciante che il virus sta riportando alla superficie.
