CAPUCINE, NAVIGATRICE SOLITARIA DAL FISICO FRAGILE E DALLA VOLONTÀ FORTE
Questa è la storia di Capucine, che avevo incontrato a Lanzarote anni fa grazie a Luca Marziali, e che ho ritrovato in questi giorni via mail. Navigatrice solitaria dal fisico fragile e dalla volontà fortissima. “Voglio disegnare un grande sorriso sull’Oceano Atlantico”. Voleva disegnare un sorriso, una curva di migliaia di chilometri sull’oceano con una barca fatta di juta. Minuscola, all’apparenza così fragile. Proprio come lei. Capucine Trochet aveva ventisette anni quando ha lasciato Parigi, un lavoro che amava al giornale “Le Figaro”, per inseguire il suo sogno. Attraversare l’Atlantico in solitaria. Altri lo hanno fatto, certo. Nel 1952 un medico, Alain Bombard, lo traversò su un canotto di gomma, dando colpi di remo in testa agli squali che attaccavano. Sopravvisse. Dimostrò che ad ucciderti, in mare, non sono fame e sete: si può bere a piccole dosi anche acqua salata. È la disperazione. La disperazione, Capucine l’ha incontrata a terra. Nella forma di una rarissima malattia genetica, che le provoca dolori tremendi alle articolazioni. Una malattia incurabile, che l’ha inchiodata a un letto d’ospedale per un anno. “Dicembre 2010, sono al fondo delle speranze”, dice. “Poi in un salone nautico alzo gli occhi e la vedo: con le sue vele arancio e la sua forma a banana”. È un colpo di fulmine. La barca si chiama “Tara Tari”, l’accento sulla i. Minuscola, nemmeno otto metri, fatta di juta pressata e materiali di scarto. L’ha costruita un giovane ingegnere, Corentin: con quel carretto è arrivato dal Bangladesh a La Ciotat, in Francia. Lì dove, incroci del destino, è stato girato il primo film della storia, “L’arrivo del treno alla stazione” dei fratelli Lumière. Corentin deve tornare in Bangladesh, e abbandonare la barca. I due si incontrano, lei è quasi in sedia a rotelle. Ma esclama: “Ci andrò io: traverserò l’Atlantico su Tara Tari!”. Le occorreranno sei mesi di rieducazione motoria in clinica. Quattro di cantiere navale per Tara Tari. Convalescenti tutti e due, mollano gli ormeggi. Senza motore, senza computer, senza niente. Capucine usa mappe nautiche cartacee, e nient’altro che la forza del vento. Non ha radar né telefono. Ogni notte può essere lo scontro fatale con una nave, o un container alla deriva. Come fai?, le chiedo. “Mi sveglio, e guardo. Faccio turni di sonno”. Ogni quanto tempo? “Ogni dieci minuti. Dormo dieci minuti, mi alzo, guardo, segno la posizione, torno sotto”. Capucine si è svegliata ogni dieci minuti, ogni notte, per mesi. In un viaggio che durerà anni, percorrerà oltre 9000 miglia. Il Mediterraneo, poi l’Oceano Atlantico, il mar dei Caraibi, le Antille. Incontrerà tempeste devastanti. A bordo, nessuno a cui dire le sue paure. “Ho un paio di libri. Un’armonica, quando ho voglia di musica”. E un razzo. “Si può lanciare una volta sola”, dice. “Lancia l’allarme in un raggio di miglia enorme”. Ma non lo ha usato mai. Dopo aver condiviso la sua esperienza nel blog “where is Tara Tari” (whereistaratari.blogspot.com), Capucine Trochet lo scorso 15 gennaio ha dato alle stampe il libro “Tara Tari: mes ailes, ma liberté”, per le editions Arthaud. “Mi ci sono voluti anni anche per questa avventura”, dice. “Scrivere richiede esattezza, e io avevo paura di essere inesatta. Avevo segnato sui taccuini momenti di meraviglia, dettagli, piccole cose. Ma scrivendo, avevo paura di alterare la realtà, perché la memoria è sfuggente, cancella dei momenti e ne esalta altri. Ho deciso di scrivere, perché credo che la storia di questa piccola barca dalle vele arancio possa essere di ispirazione per altri”. E alla fine, dopo aver disegnato un grande sorriso sull’oceano, ne ha disegnato uno anche nel cuore di molti lettori. E i dolori? “Ogni tanto tornano, terribili. Ma da quando sono partita in mare, non prendo più la morfina”. Nel 2015, dà alla luce Charlotte, “come la baia che mi ha dato rifugio nell’isola di Dominica”. Charlotte nasce in Bretagna, in un paesino vicino Lorient. In una stanza, ovviamente, con vista sul mare. E poi, “poiché una felicità spesso non viene sola”, nasce anche Oscar. “Perché l’amore non si divide, si moltiplica”. Ora, Tara Tari è in “congedo parentale”, nelle Antille, “nel giardino di un amico”. E lei ha scritto un libro, “Tara Tari: mes ailes, ma liberté”, pubblicato da Arthaud. Ma il viaggio non è finito. Tutt’altro. “Adesso che la scrittura del libro è terminata, mi preparo a ripartire, ma stavolta con i bambini e il loro papà!”. Grazie a Ugo Cennamo per aver accolto e pubblicato questa storia su QN
