LETTERE DA UN PAESE CHIUSO. DOMENICA FUORI PORTA
Ci sono un sacco di cose di cui si dovrebbe parlare, anche oggi. Ma è domenica, nonostante tutto. Ieri ho portato la spesa a mia figlia. Ho incrociato sotto casa il suo compagno, terapia intensiva. Cerco di non fargli domande, perché vede i suoi una volta a settimana. Gli ho solo chiesto se avesse fatto il tampone. Mi ha guardato, da sopra la mascherina, e ha detto solo “No”. Se glieli facessero, ho pensato, non avrebbero più medici e infermieri, nelle terapie intensive. Tornando a casa ho visto l’Idroscalo, dove a primavera mi piace camminare. I cavalli che normalmente sono in un recinto vanno liberi, tra le panchine e i prati deserti. Mi è venuta in mente una poesia di Pasolini, che non descrive la rivincita della natura, ma la sconfitta dell’uomo. La scrisse ai tempi delle crisi petrolifere, ma ha qualcosa anche dei nostri giorni maledetti. Vorrei la leggeste in friulano -anche se c’è la traduzione in italiano -provando a pronunciare le parole, per quella che, potessi rubare qualcosa a Trieste, che è un’altra delle mie patrie, chiamerei la grazia scontrosa del friulano. La recessioneI jodarìn borghèssis cui tacòns;tramòns ros su borcs vuèis di motòurse plens de zòvins strassònstornàas da Turin o li Germàniis.I vecius a saràn paròns dai so murèscoma di poltronis di senatòurs;i frus a savaràn che la minestra a è pucia, e se c’ha val un toc di pan.La sera a sarà nera coma la fin dal mond, di not si sentiràn doma che i gris o i tons; e forsi, forsi, qualchi zòvin– un dai pus zòvins bons turnàas al nit –a tirarà fours un mandulìn. L’ariaa savarà di stras bagnàs. Duta sarà lontàn. Trenos e corierisa passaràn di tant in tant coma ta un siun.Li sitàs grandis coma mondsa saràn plenis di zent ch’a vas a piècui vistìs gris, e drenti tai vuj‘na domanda, ‘na domanda ch’a è,magari , di un puc di bès, di un pissul plasèir, ma invessi a è doma di amòur. I antics palàs a saràn coma montagna di piera soj e sieràs, coma ch’a erin ièir.Li pìssulis fabrichis tal pì bièldi un prat verd ta la curvadi un flun, tal còur di un veciubosc di roris, a si sdrumaràn.un puc par sera, murèt par murètlamiera par lamiera. I bandìs(i zòvin tornàs a ciasa dal mondcussì divièrs da coma ch’a èrin partìs)a varàn li musis di ‘na volta,cui ciaviej curs e i vuj di so mariplens dal neri da li nos di luna –e a saràn armàs doma che di un curtìs.Il sòcul dal ciavàl al tociaràla ciera, lizèir coma ‘na pavèa,e al recuardarà se ch’al è stat,in silensiu, il mond e chel ch’al sarà.Rivedremo calzoni coi rattoppirossi tramonti sui borghivuoti di macchinepieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla GermaniaI vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatorie i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di paneE la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremo i grilli o i tuonie forse qualche giovane tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolinoL’aria saprà di stracci bagnatitutto sarà lontanotreni e corriere passeranno ogni tanto come in un sognoE città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedicon i vestiti grigie dentro gli occhi una domanda che non è di soldi ma è solo d’amoresoltanto d’amore .E gli antichi palazzisaranno come montagne di pietrasoli e chiusi com’erano una volta Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verdenella curva di un fiumenel cuore di un vecchio bosco di quercecrolleranno un poco per seramuretto per murettolamiera per lamieraE i banditi avranno il viso di una voltacon i capelli corti sul colloe gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di lunae saranno armati solo di un coltelloLo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfallae ricorderà ciò che è stato il silenzio il mondoe ciò che sarà.Pier Paolo PasoliniE’ una poesia dell’ultimo libro di Pasolini, del 1974, quando le crisi petrolifere ci parlavano della fine del mondo. Quel libro raccoglie le poesie friulane de “La meglio gioventù” scritte tra il 1941 e il 1953 e la loro riscrittura, quando la fontana del suo paese che getta acqua di rustico amore, ha smesso di essere l’acqua più fresca del mondo. Ma non voglio portarvi in una gita in Friuli come fosse una distesa di sassi, è una terra di primule e temporali, di poesia e di musica. Vi regalo una canzone di Gigi Maieron, e si chiama Mago Tiraca. Racconta qualcosa che torna in mente il giorno in cui attorno al dito della vera nuziale c’è come un anello di freddo. La storia dell’oste che ha perso una gamba tagliando abeti e fa le previsioni del tempo con un dolore quasi infantile, in fondo alla gamba di legno. Era l’inno di uno spettacolo che facemmo con Mauro Corona, Franco Giordani e altri per aiutare la costruzione da parte dell’8° Alpini di una casa per grandi ustionati in Afghanistan, di cui vi ho già parlato. Ci sono registrazioni migliori, ma questa mi piace perché alla fine in un fotogramma si vede, accanto a Mauro, un nostro amico che non c’è più, Goio, portato via dall’unico male di cui avessimo paura, quella volta. Poi ci sono io che faccio finta di suonare, ma ho una giustificazione: bevevamo, durante lo spettacolo. Alla salute. A me un cabernet franc, per favore, e buona domenica a tutti.
