TREMONTI E L’EUROBOND CHE NON È DEBITO

TREMONTI E L’EUROBOND CHE NON È DEBITO

Arcana intervista delMessaggeroaGiulio Tremonti. O meglio, arcane sono le risposte del tributarista ex ministro. Dalle quali par di capire che esisterebbe in natura uno strumento di debito che in realtà non è debito. Un po’ come il tessuto non tessuto, in pratica. O la non-pipa di Magritte. Prima di entrare nel merito di questiarcana (Tre)mundi, vi omaggio di un argutissimo commento dell’ex ministro, sulla “potenza di fuoco” messa in campo dal governo italiano, che in astratto numerico rappresenta una delle maggiori manovre nazionali: Io amo la cinica arguzia di quest’uomo, davvero. Ed anche le “voci rauche nordiche”, in contrapposizione a quelle chiocce mediterranee o prealpine. Ma entriamo nel merito degli eurobond visti da Tremonti. Si parte in preambolo con l’Europa semplice ed irenica che fu, per arrivare a quella di oggi: legalistica ed onusta di acrimonia ed acronimi: Come noto, per Tremonti le banche italiane, e non solo loro, non parlano né devono parlare inglese. Questo ci salverà dal cupo mondo hobbesiano dove dominano le banche d’affari ed i grandi e meno grandi studi tributari. Io comunque ricordavo che ci fossero acronimi anche mezzo secolo addietro, tipo la CECA, ma posso sbagliarmi. Ma l’ex ministro ha le idee molto chiare sugli eurobond.E qui saetta la prima rivelazione: Il senso della frase è chiaro: se ci indebitiamo col MES, sia pure con condizionalità leggerissime, sempre di debito nazionale si tratterebbe.Quindi, che senso avrebbe sommare debito nazionale a debito nazionale estero-proveniente? Noi vogliamo debitoeuropeo. Bene, ma la domanda sorge spontanea: un debitoeuropeo, in capo a chi finisce? Secondo me, che sono una persona arida e per nulla immaginifica, dovrebbe finire pro rata in capo ai paesi che lo garantiscono. O no? Mentre cerchiamo di comprendere questo snodo essenziale tra debito nazionale e debito europeo garantito dagli stati nazionali, il professore definisce, nel modo immaginifico che gli è congeniale, i bond emessi dal MES: È tutto vero:nel MES i singoli paesi versano il capitale, in proporzione della loro quota di partecipazione al capitale della Bce (capital key), e poi questo capitale funge da garanzia per “mettere a leva” la capacità di raccolta di debito del MES. Banale, come per qualsiasi operazione di raccolta fondi da parte di una entità aziendale. Che accadrebbe, se un debitore a cui sono stati destinati fondi raccolti dal MES a mezzo emissione di debito, risultasse insolvente?Che il suo buco farebbe scattare le garanzie da parte degli altri paesi, con versamenti integrativi sempre pro rata. E ora, devo farvi una rivelazione sconvolgente: lo stesso identico processo e meccanismo si realizzerebbe se si facessero gli eurobond. Ma proprio identico, sapete? Vi dirò di più: anche se si emettessero coronabond, sarchiaponebond e supercazzolabond. Ogni paese presta garanzie, che possono essere attivate in caso di insolvenza del prenditore di quei fondi. Ma se le cose stanno in questi termini, non è chiaro perché Tremonti non veda gli eurobond per quello che sono: debito nazionale derivato da emissione collettiva sovranazionale. A meno che egli non pensi che gli eurobond debbano essere semplicemente unasovvenzione, cioè un trasferimento a fondo perduto al paese richiedente. Ora, fate uno sforzo ulteriore: ipotizzate che i 410 miliardi di potenza di fuoco del MES vengano ribattezzati eurobond e distribuiti ai paesi che ne fanno richiesta. In questo caso, quanto bisognerebbe trasferire? Servirebbero regole di base per l’attribuzione, no? Quanto all’Italia, quanto alla Francia, quanto alla Spagna, ecc. È per caso questa una odiosa condizionalità, da rigettare come laido tentativo di violazione della nostra autodeterminazione e sovranità? Ma se questi soldi non devono andare a gravare sul debito nazionale, né direttamente né indirettamente, significa che non ne è prevista la restituzione a scadenza. Non una buona notizia per gli eventuali sottoscrittori sul mercato di questi bond, non trovate? Per farvela breve, l’impressione è che per Giulio Tremonti, e non solo per lui, eurobond significhi sovvenzione a fondo perduto ai paesi che ne fanno richiesta. E questo conferma i miei sospettisull’inconfessabile richiesta degli italiani in sede Ue. Ripeto: basta dirlo. So che voi ora direte: eh, ma basterebbe che la Bce se li comprasse, annullandoli. Lo so, ma vi garantisco che nessuna banca centrale seria del pianeta opererebbe in modo così sfacciato una monetizzazione del debito, anche se non vigesse l’articolo 123.1 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea; in odiato acronimo, TFUE. Che poi, ricorda molto l’onomatopea da fumetto “PFUI”, che esprime disprezzo misto a ribrezzo. Un caso? Io non credo. Allora, appurato che per Tremonti pare che gli eurobond non debbano essere debito, che suggerisce il tributarista millenarista?Di usare il debito domestico, allettando i risparmiatori con una bella esenzione fiscale, che per gli italiani notoriamente è un potentissimo magnete. Ah, capisco. Una specie di giuramento dei Templari. Che poi, detto dallo Stato italiano, che notoriamente ha una ed una sola parola, soprattutto sulle tasse, questa è una garanzia assoluta. Anche se il mio cinismo mi porta a pensare che che il messaggio potrebbe essere inviato nella seguente forma: Riflettete, quindi. E buon non-debito a tutti.